A 17 anni la scoperta di una malattia, la vasculite, la progressiva perdita delle funzioni renali e l’inizio a 21 anni della dialisi. Poi a 25, il trapianto di rene, grazie alla donazione da parte di un “angelo”, per iniziare una nuova vita, con il lavoro, la creazione di una famiglia e lo sport. Ma la malattia si ripresenta portando nuovamente sofferenza e rinunce: ancora la dialisi fino a quando il fratello, con un gesto eroico, gli dona il rene per la sua seconda rinascita. Questa la storia di Carlo Cicalò, cagliaritano di 51 anni residente a Elmas, che fa parte della nazionale italiana trapiantati di calcio e di tennis e che gira l’Italia per lanciare un messaggio fortissimo: «Donare un organo salva vite umane. Quando rinnovate la carta d’identità date il vostro sì alla donazione degli organi».

Cicalò è l’esempio – e come lui per fortuna ce ne sono tanti altri – di come una persona dopo il trapianto di un organo può avere una vita normale e arrivare anche a praticare sport. E chi ha affrontato una sfida di questo tipo crede fortemente nelle campagne di sensibilizzazione a favore della donazione degli organi: e così Carlo Cicalò da tempo è entrato a far parte della grande famiglia dell’Associazione nazionale emodializzati dialisi e trapianto (Aned) e delle nazionali italiane di calcio e tennis. «Perché lo sport è una medicina fenomenale: fa bene al fisico e alla mente».

Chi ha vissuto la malattia e la dialisi sa bene cosa significhi sofferenza, limitazioni, paura del futuro. Così il trapianto diventa una seconda opportunità, per una vera rinascita. «La vasculite mi ha portato a perdere la funzionalità renale», spiega Cicalò, «e a fare cinque anni di emodialisi. Ero giovane e questo ti limita nella tua vita, nel lavoro e nello sport». Fino al trapianto: «Non smetterà mai di ringraziare l’angelo donatore e la sua famiglia. A 25 anni ho ripreso in mano la mia vita, lavorando, mettendo su una famiglia e avendo una splendida figlia. E poi ho ripreso a praticare l’attività sportiva». Tredici anni di serenità, poi la malattia ricompare. E tutto ha nuovamente inizio. «Ho ripreso con la dialisi. Poi c’è stato un eroe, mio fratello Alberto: mi ha donato un rene permettendomi di riprendere la mia vita in mano per la seconda volta, undici anni fa. E iniziare novamente a fare sport».

Carlo Cicalò insieme agli altri atleti al memorial Yara Gattavecchi
Carlo Cicalò insieme agli altri atleti al memorial Yara Gattavecchi
Carlo Cicalò insieme agli altri atleti al memorial Yara Gattavecchi

Carlo Cicalò decide però di far parte dell’Aned e della nazionale italiana trapiantati, partecipando a vari campionati, anche a quello mondiale di calcio dell’anno scorso. Tutte iniziative e occasioni per lanciare un messaggio forte: «Tutti devono dare il loro sì alla donazione degli organi, soprattutto quando si fa il rinnovo delle carta d’identità». A fine ottobre Cicalò è andato a Montepulciano per partecipare proprio a una manifestazione per sensibilizzare alla donazione degli organi, in collaborazione con Aido e Aned. Insieme ad altri atleti della nazionale italiana trapiantati di tennis (Luca da Reggio Emilia, Carmine da Chieti, Francesco da Matera, Claudia da Roma e Davide da Torino) hanno partecipato a un torneo e soprattutto incontrato gli studenti delle ultime classi del Liceo di Montepulciano. «I ragazzi hanno mostrato un grande interesse, partecipando all’incontro e dialogando con tutti noi. E la comunità di Montepulciano ci ha accolto in modo incredibile, compreso il sindaco Michele Angiolini. Siamo stati anche ricevuti in Comune. Il torneo è un memorial intitolato a Yara Gattavecchi, ragazza tragicamente scomparsa alcuni anni fa, i cui genitori, donando gli organi della figlia, hanno trasformato una tragedia in atto d'amore e di vita: tutt’oggi sono impegnati in iniziative come questa per promuovere la donazione degli organi».

E Cicalò ricorda anche la storia dell’Aned, che ha un collegamento con la Sardegna. «L’associazione nasce nel 1972 per opera di Franca Pellini Gabardini, volontaria dell’ospedale San Carlo per dare una vita migliore a tutte le persone che soffrono di malattie renali. Proprio 53 anni fa, aiutò una bambina sarda, portata a Milano dai genitori perché nell’Isola non si poteva fare la dialisi: i genitori della piccola, avendo altri otto figli, dovettero tornare in Sardegna e la bambina fu aiutata proprio alla volontaria e da altro personale. Quella bambina si salvò grazie alla dialisi: ha poi avuto un trapianto e si è fatta una sua vita, creando anche un famiglia». Un’altra storia per ricordare, con forza, l’importanza di donare per permettere a chi ne dovesse avere bisogno di avere un futuro e una vita normale grazie a un trapianto.

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