La regina Vittoria aveva stabilito che avrebbe portato con sé alcuni oggetti del marito tanto amato, tra questi un calco della mano in alabastro e la veste da camera. Quando il 22 gennaio 1901 arrivò il momento, James Reid, il suo medico personale, eseguì alla lettera le disposizioni della sovrana riguardo tutto ciò che doveva essere composto con lei nella bara: le cose che potevano essere portate a conoscenza dei familiari e quelle che invece dovevano rimanere segrete. Così - come racconta Carolly Erickson in La piccola regina - Vittoria fu sepolta col velo da sposa ormai ingiallito sul capo, il nastro azzurro dell’Ordine della Giarrettiera sul petto e un mazzolino di fiori profumati tra le mani. Era il corredo funebre visto e approvato da Bertie, il futuro Edoardo VII, secondogenito della regina che in quelle ore si preparava a succedere alla madre come re del Regno Unito e imperatore delle Indie. Non appena questi uscì dalla stanza, il dottor Reid sistemò sotto la mano sinistra della regina una ciocca di capelli e una fotografia di John Brown, il fedelissimo servitore scozzese, colui che Vittoria aveva definito «l’amico più caro che nessuno in questo mondo potrà mai sostituire».

I pettegolezzi

Quale sia stato il bagaglio a mano più segreto dell’ultimo viaggio della regina Elisabetta II, scomparsa l’8 settembre scorso a 96 anni, non è dato sapere. Certo, però, è che non avesse particolari amicizie maschili come invece la sua trisnonna Vittoria. Un sentimento mai del tutto chiarito dagli storici e dai biografi, ma vero è che quello tra Vittoria e John Brown fu un legame molto chiacchierato a corte, oggetto di satira sulla stampa e osteggiato dai figli e dai consiglieri della sovrana. Si diceva che fossero come marito e moglie, e quando le voci le arrivarono all’orecchio lei le liquidò con stizza, mentre ai consiglieri che la pregavano di allontanare il servitore rispose che «alla regina non si comanda».

Fascino e lealtà

Non si conoscerà mai la vera natura della relazione tra i due. Certo è che lui - arrivato a Windsor dalla residenza reale di Balmoral nel 1864, tre anni dopo la morte del principe consorte Alberto di Sassonia Coburgo Gotha - aveva su Vittoria, allora quarantacinquenne, un ascendente particolare: era l’unico uomo sulla terra a potersi permettere di trattarla anche in maniera brusca e diretta, per esempio sgridandola se lavorava troppo e se mangiava in maniera smodata. La sovrana apprezzava la lealtà e la schiettezza del servitore, ascoltava divertita il suo forte accento scozzese e si compiaceva del fatto che fosse pure un bell’uomo, alto e muscoloso. Lei d’altronde non aveva mai fatto mistero di trovare grande appagamento nella bellezza maschile. Dopo la morte di Alberto, di cui era sempre stata innamorata fin dal giorno del loro primo incontro, trovò un certo conforto nelle attenzioni galanti di alcuni uomini del suo seguito, dal primo ministro Benjamin Disraeli (morto nel 1881, e che aveva chiesto di essere sepolto con una foto di Vittoria) ad Abdul Karim, servitore indiano che si rivelò ladro e approfittatore e finì per essere allontanato.

Due fedi al dito

Niente in confronto al legame che la univa a John Brown, e quando questi morì, nel marzo 1883, per Vittoria fu un colpo durissimo. Essendo lui più giovane di sette anni, aveva sempre pensato che lo avrebbe avuto accanto anche sul letto di morte. «Provo un dolore simile a quello della scomparsa del mio caro Alberto», confidò a un consigliere. Un dolore che l’ha accompagnata per altri diciotto anni, fino al giorno della morte.

Edoardo VII non seppe mai che la madre era stata sepolta con una fotografia e una ciocca di capelli di John Brown. Non seppe mai che, assieme all’anello nuziale che sempre le aveva visto al dito, la regina Vittoria era stata sepolta anche con la fede della madre di John Brown, la vera che lui le aveva donato in punto di morte.

Dopo il funerale, Edoardo visitò ogni stanza di tutte le residenze reali per eliminare ritratti e statue del servitore scozzese, nonché qualunque oggetto che lo ricordasse. Ciò che però più contava di quell’affetto, Vittoria lo aveva portato con sé.

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