L’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, ora senatore, non si arrende. Con la Procura di Firenze ha ingaggiato una battaglia legale legata all’acquisizione della corrispondenza mail e WhatsApp. Le decisione depositata nei giorni scorsi dalla Corte costituzionale - che accoglie il conflitto di attribuzioni sollevato dal Senato contro i magistrati requirenti del capoluogo toscano - gli ha dato ragione. In sostanza, i magistrati non potevano acquisire la corrispondenza estratta dal cellulare di uno degli indagati senza l’autorizzazione del Senato. Così prevede l’articolo 68 della Costituzione in tema di intercettazione di parlamentari.

I magistrati fiorentini avevano proceduto con l’acquisizione nella convinzione che l’autorizzazione non fosse necessaria in questo caso perché il sequestro non riguardava un parlamentare ma un altro soggetto che aveva scambiato messaggi col senatore. Secondo i pm, una volta ricevuti, i messaggi non sono più corrispondenza ma documenti, per i quali non è prescritta alcuna autorizzazione. Non solo: stando alla tesi della Procura toscana, se non fosse concessa l’autorizzazione dalla Camera di appartenenza chat e mail sarebbero inutilizzabili anche per l’altro soggetto che si troverebbe protetto dalle garanzie esclusive dei parlamentari, beneficiando di una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri cittadini.

Ma la Consulta è stata di diverso avviso. Innanzitutto ha ribadito che la Costituzione tutela la libertà e la segretezza di qualsiasi forma di comunicazione, ma in particolare quella dei parlamentari. C’è un motivo preciso: va loro garantito il pieno esercizio delle funzioni. E allora non può considerarsi una “comunicazione” soltanto quando è in viaggio dal mittente al destinatario ma anche dopo la ricezione e la lettura da parte del destinatario.

«In un’epoca in cui si spediscono messaggi istantanei, ritenere che la tutela costituzionale riguardi solo la corrispondenza cartacea e ritenere quella digitale mero documento una volta che è stata ricevuta dal destinatario significa azzerarla».

Tali considerazioni acquistano un significato particolare nel caso specifico oggetto del conflitto di attribuzioni, scrive il quotidiano L’Unità nel riportare e commentare la notizia sulla sentenza. “Qui si trattava della corrispondenza intrattenuta da e con un parlamentare per il cui sequestro l’articolo 68 richiede l’autorizzazione della Camera di appartenenza. Si tratta di una prerogativa strumentale alla salvaguardia delle funzioni parlamentari di modo che intercettazioni o sequestri di corrispondenza non siano indebitamente finalizzati a incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell’attività. Se questa è la ratio di tale prerogativa, limitarla alle comunicazioni solo in corso di svolgimento e non già concluse  significa darne una interpretazione così restrittiva da azzerarla di fatto.

Se la Corte costituzionale avesse deciso diversamente, da quel momento i pubblici ministeri avrebbero potuto facilmente eludere l’obbligo costituzionale di autorizzazione preventiva per acquisire agli atti la corrispondenza dei parlamentari: anziché intercettarne le comunicazioni, avrebbero potuto attenderne la conclusione e poi sequestrare il device in cui vi è traccia del contenuto. Invece, nella corrispondenza del parlamentare rientrano anche i “documenti a carattere comunicativo”, sia quelli che riportano i dati esteriori della comunicazione, come i tabulati telefonici, sia i messaggi elettronici con il contenuto.

E allora, se il pubblico ministero riscontra nel dispositivo sequestrato a un terzo messaggi con un parlamentare, dovrà chiedere immediatamente l’autorizzazione alla camera di appartenenza. Se invece vorrà utilizzare quelle intercettazioni contro il terzo,  quel materiale probatorio è sempre e comunque utilizzabile, indipendentemente dall’esito della richiesta di autorizzazione; altrimenti si avrebbe una «irragionevole disparità di trattamento fra gli indagati, a seconda che tra i loro interlocutori occasionali vi sia stato o meno un membro del Parlamento».

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