Se in via Musinè si arrivasse bendati, senza aver visto i grattacieli e la Mole Antonelliana, senza aver capito di essere a molti chilometri dall’isola dei nuraghi e di essere arrivati invece nel cuore di Torino, si potrebbe facilmente credere di passeggiare nelle stradine di un qualunque comune della Sardegna. E in effetti, quello in cui sventola costantemente la bandiera dei quattro mori, tutti lo chiamano borgo. Non quartiere: perché la vita, le abitudini, i servizi e i rapporti umani sono a misura di famiglia. È una specie di paese in mezzo alla città, il Borgo Campidoglio. E l’iperattiva comunità dei sardi trapiantati alle pendici delle Alpi non poteva che scegliere un luogo come questo per costruirsi un tetto comune e ovviamente una cucina. Dove è possibile gustare un piatto di culurgiones d’Ogliastra o discutere con gli scrittori, dove un bicchiere di Cannonau è sempre pronto per il brindisi e dove si trova anche una copia de L’Unione Sarda, c’è un’associazione che di Antonio Gramsci ha preso il nome e molti buoni insegnamenti. A iniziare da quello sull’indifferenza.

Dove sventolano i 4 Mori A Borgo Campidoglio si è sparsa la voce e chi ogni giorno non sa come fare per mettere insieme il pranzo con la cena ha saputo che nel rifugio chiassoso (e allegro) dei sardi può trovare sempre un aiuto. Nel treno dei generosi che ha reso Torino una specie di Frecciarossa della solidarietà, in uno dei vagoni più festaioli si sente qualcuno con accento barbaricino e campidanese. La metafora si adatta, se non altro perché quella che si è creata in città è stata chiamata “Carovana salvacibo”. Il bigliettaio è Enzo Cugusi, il gavoese che nel capoluogo piemontese conoscono come il “sindaco dei sardi”: pensionato di recente ma ancora instancabile, gira la città in bicicletta e nel Consiglio comunale torinese viene ancora ricordato per la battaglia furiosa che servì a salvare dalla speculazione il palazzo in cui visse proprio Antonio Gramsci. È lui l’anima di un’associazione che raduna i pionieri dell’emigrazione e gli studenti che ora hanno trovato nel progetto solidale un altro motivo di unione. I più attivi sono proprio i ragazzi, che di buon mattino fanno il giro dei grandi mercati e raccattano tutto quello che di buono rischierebbe comunque di non essere venduto. Frutta, verdura e altri prodotti che fanno la felicità di disoccupati, immigrati, clochard ed emarginati di ogni nazionalità. Al popolo della storica povertà ora si sono aggiunti quelli a cui la pandemia ha portato via il lavoro, spesso gli affetti, e anche la speranza di riprendere il ritmo di un tempo.

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I giovani in campo A raccogliere il bendidio che sarebbe finito al macero c’è una città invisibile e che ogni giorno trova aperte 51 porte, quelle di associazioni, enti e parrocchie, a cui viene donato il cibo messo insieme dai volontari. Il tour parte dal mercato rionale di Corso Svizzera, ma si arriva anche ai grandi spazi dell’ingrosso e dalle eccedenze di ogni settimana più di 120 famiglie hanno la certezza di avere il necessario per mangiare. Panettieri e altri negozianti dei quartieri contribuiscono a modo loro e così il gruppo dei sardi distribuisce puntualmente bustoni e sorrisi.

Fiero di quella pettorina rossa, anche Enrico Laerte Corona, ingegnere trentacinquenne di Norbello, ogni settimana fa il giro dei mercati e arriva al banchetto con quello che sembra un prezioso bottino. «Ho avuto la possibilità di crescere serenamente grazie alla mia famiglia, che mi ha insegnato anche a condividere. I miei genitori sono nati poveri, non avevano nulla, ma se c’era qualcuno che aveva meno di loro, allora si doveva dividere, senza badare a chi fosse. Oggi ci sono veramente tante persone per cui un cestino di frutta può fare la differenza. Al nostro banco abbiamo accolto gente di ogni etnia ed estrazione sociale. Donne e uomini che hanno sempre avuto difficoltà economiche ma anche molti che hanno visto crollare tutto all’improvviso. Bambini sempre sorridenti che affrontano la vita con spensieratezza e genitori che si caricano sulle spalle i problemi della famiglia. Ci sono anche molti emigrati sardi che si trovano in difficoltà, a volte addirittura studenti».

Immacolata Licheri, sessantenne di Gonnosfanadiga, è una delle veterane dell’associazione Gramsci di Torino e nella grande missione solidale di questi mesi è costantemente in prima linea. «Accontentare tutti è una sfida continua – racconta – Ma per fortuna siamo una bella squadra: una famiglia che lavora con gioia per questa causa. Continueremo a farlo perché aiutare gli altri ci arricchisce. Certo, è un bel colpo al cuore vedere l’imbarazzo di persone che un anno fa erano benestanti e che ora hanno perso il lavoro e le certezze di una vita».

Dai banconi alla cucina Nella missione quotidiana dei giovani sardi c’è un mix di buone intenzioni: la beneficenza, certo, ma anche la riduzione dello spreco alimentare. «Questa non è una novità eppure tanti di noi sono ancora ciechi e superficiali davanti a questa emergenza planetaria – riflette Lorenza Piras, venticinquenne studentessa di Economia - L'iniziativa salvacibo regala una nuova consapevolezza sull'argomento e aiuta ad aprire gli occhi su quanto sprechiamo: alimenti che ancora si possono utilizzare e che possono fare la differenza per tante persone». Centosessanta tonnellate di alimenti strappate alla fogna dei cassonetti e portate sulle tavole valgono quasi una medaglia d’oro al valore civile. Ma i sardi di Borgo Campidoglio si accontentano dei grazie spesso espressi solo con lo sguardo. «Oltre al banchetto e alla consegna, ogni giovedì, mettiamo in moto anche la cucina dell’associazione – aggiunge il presidente Enzo Cugusi – Abbiamo copiato la buona idea del “Pranzo sospeso”: prepariamo piatti caldi sfruttando una parte dei prodotti raccolti dai volontari e con l’aggiunta di qualcosa che arriva dalla Sardegna. Così le dieci famiglie che ci sono state “affidate” dai Servizi sociali di Torino possono anche gustare i sapori della nostra terra».

I ragazzi che ogni settimana raccolgono le eccedenze nei mercati (foto concessa)
I ragazzi che ogni settimana raccolgono le eccedenze nei mercati (foto concessa)
I ragazzi che ogni settimana raccolgono le eccedenze nei mercati (foto concessa)

Matteo Cambuli è uno chef professionista, cagliaritano, 40 anni: ha spadellato all’interno di cucine di alto livello e ora impiatta anche per gli ultimi. «Per me – dice – il cibo salvato è una continua fonte di ispirazione per elaborare ricette di recupero che spesso si rifanno alla cucina popolare, come ad esempio il nostro matzamurru. È una costante sfida quella di riuscire a coniugare sapore, nutrizione e cultura antispreco». «Questa esperienza - riflette Cugusi - ci ha consentito di testare le capacità della nostra comunità, perché l’associazione è quasi un paese: 1200 soci e considerando tutti i familiari di ogni iscritto possiamo dire che siamo circa tremila. Il lavoro fatto finora dimostra che abbiamo antenne più attente a captare i problemi degli altri: siamo gente che la povertà e le difficoltà le hanno già vissute sulla pelle. Diciamo che ci accorgiamo subito quando c’è bisogno di aiuto».

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