Dire che dal 1985 sono passati 36 anni è corretto. Anzi, è un'evidenza aritmetica. Ma a voler percepire il tempo che è passato, piuttosto che calcolarlo, allora quello è l'anno del processo a Mamma Ebe e della nevicata su Cagliari. Al Quirinale arriva Cossiga, al Cremlino Gorbacev. La camorra uccide Giancarlo Siani, le Br ammazzano Ezio Tarantelli, la mafia elimina Roberto Antiochia e Ninni Cassarà. E debutta il videogame Super Mario.

Quell'anno la famiglia Rockefeller consegna all'Onu l'arazzo di Guernica. È un prestito, solenne quanto si vuole ma non diventerà mai nulla di più. E infatti trentasei anni dopo, giovedì 25 febbraio, l'opera torna a casa. Mamma Ebe in Italia non la ricorda più nessuno, Gorbacev invece sì. Al Quirinale c'è sempre un cattolico democratico e pure Super Mario c'è ancora, ma non è più un videogame. È una lunga pagina di storia quella che i Rockefeller voltano all'indietro riappropriandosi dell'opera. E a volte è stata una storia imbarazzante.

Chi ha l'età per ricordare la seconda guerra del Golfo ricorderà anche il disagio per la performance di Colin Powell. Il 5 febbraio del 2003 il segretario di Stato dell'amministrazione Bush mostra alle Nazioni Unite fiale di antrace e foto satellitari per giustificare la "difesa preventiva" da armi irakene di distruzione di massa che risulteranno poi del tutto immaginarie. Otto anni più tardi, in un'intervista alla Abc, Powell definirà quell'intervento "una macchia" sulla sua carriera. Ma probabilmente già il giorno in cui lo tenne non doveva sentirsi troppo a suo agio, visto che l'arazzo di Guernica che da 18 anni campeggiava davanti alla sala del Consiglio di sicurezza fu coperto con un telone blu-Onu. Era troppo difficile convincere il mondo ad applaudire democratici e indispensabili bombardamenti davanti a quel racconto per immagini di quanto i bombardamenti siano atroci. La portata evocativa di Guernica d'altronde è al centro dell'aneddoto arcinoto dell'ufficiale tedesco che nello studio di Picasso, nella Parigi occupata, chiede severo: "Avete fatto voi questo orrore?", e il pittore risponde: "No, lo avete fatto voi". Il 26 aprile del 1937 a colpire la cittadina basca di Guernica fu la Legione Condor, il corpo aeronautico volontario arrivato dalla Germania hitleriana per sostenere i franchisti contro i repubblicani. Fu un'atrocità, con due bombardamenti massicci e poi uno spezzonamento incendiario che distrusse quel che era rimasto in piedi e arse vivi i superstiti. Secondo i calcoli degli storici le vittime furono due-trecento. L'eco sulla stampa internazionale fu tale che franchisti e nazisti cercarono prima di dare la colpa ai repubblicani ("Hanno bruciato la città prima di abbandonarla") e poi di archiviare il massacro come una fatalità ("L'obiettivo era un ponte ma il vento ha spostato le bombe sulla città"). La verità è quella ammessa da Hermann Goring al processo di Norimberga: "Guernica è stato un terreno di prova per la Luftwaffe. È stata una vicenda spiacevole, d'accordo! Ma non potevamo fare altrimenti perché non avevamo un altro posto per sperimentare i nostri aeroplani".

Ed eccoci alla seconda gaffe legata all'arazzo. Nel settembre del 2019 salta fuori che il sito delle Nazioni Unite lo indica come una "forma di protesta artistica contro le atrocità della Repubblica durante la Guerra civile spagnola". Uno scivolone storico insopportabile, tanto più se si considera che fu proprio il governo repubblicano a commissionare l'opera a Picasso, che la realizzò a tempo di record perché potesse campeggiare nel padiglione spagnolo dell'esposizione universale di Parigi. Ovviamente il portavoce Stéphane Dujarric annuncia la correzione "dell'orribile errore" scusandosi con "il popolo e il governo della Spagna". Ma a essere pignoli, sul portale dell'Onu un errore rimane: Guernica figura fra le donazioni ma in realtà è un prestito, come Nelson A. Rockefeller Jr ha ricordato a tutti. Ma come è nata la cessione dell'opera al Palazzo di Vetro, e perché parliamo di un arazzo se l'ha creata un pittore? Il fatto è che Guernica è un po' come un prisma, che spezza la luce e la manda a inseguire più storie contemporaneamente.

Torniamo per un momento ai giorni del dialoghetto fra Picasso e l'ufficiale tedesco: con l'occupazione nazista Parigi non è un posto sicuro per l'opera, ventisette metri quadrati di iuta dipinti in bianco, nero e grigio per richiamare le foto del massacro pubblicate dai giornali. Il giovane Nelson Rockefeller, che ha abbastanza cultura e denaro per essere un cultore di Picasso, offre di ospitare Guernica al Moma, il museo newyorkese fondato nel '29 da sua madre Abby. Passa il tempo, il franchismo tramonta e nel 1981 l'immenso dipinto può tornare in una Spagna stabilmente democratica. A Rockefeller dispiace separarsi dall'opera ma Picasso non può rifarla per lui: è morto da sette anni, e comunque non ha mai dipinto due volte lo stesso soggetto. Nei suoi ultimi anni però aveva sviluppato una passione per gli arazzi dopo aver incontrato la tessitrice Jacqueline de la Baume, moglie del pittore e scultore René Dürrbach. Dopo averle visto tradurre in trama e ordito il suo Harlequins del 1920, come ricorda "La Stampa" un anno dopo la autorizza "a tessere Guernica in undici colori (anziché i tre del quadro) e tre copie, una delle quali destinata a soddisfare le brame di Rockefeller che, nominato governatore dello Stato di New York, la porterà con sé nella Executive Mansion di Albany". La molteplice versione tessuta a colori non esaurisce insieme all'originale tutti i raggi proiettati da Guernica. C'è ancora il cartone, una bozza di dimensioni analoghe all'originale che servì a provare la composizione dell'arazzo. O meglio a lungo non c'è, nel senso che il cartone sparisce dal '55, anno della realizzazione, fino agli anni Dieci del Duemila, quando la tenacia della storica dell'arte Serena Baccaglini lo scova e lo porta in esposizione da Praga a Palazzo Giustiniani di Roma nel dicembre 2017.

Ora per un'ennesima rifrazione uno di quei raggi di Guernica, l'arazzo prestato da Rockefeller padre alle Nazioni Unite rimbalza verso casa per volontà di Rockefeller figlio. Chi apparentemente non se ne fa una ragione è il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres: "È orribile che sia sparito. Abbiamo provato in tutti i modi a farlo rimanere qui, abbiamo tentato e ritentato ma è stato inutile". Ma come la natura, anche l'arte e la politica non sopportano spazi vuoti: a breve partirà una gara fra artisti e fra nazioni per occupare quel posto nel Palazzo di Vetro.

Se fra i principi del diritto internazionale ci fosse il contrappasso, domani su quel muro apparirebbe un'opera sui bombardamenti sull'Iraq. L'Onu velò Guernica per farli passare, e forse il sarebbe stato quello il giorno giusto per riportarla in casa Rockefeller.
© Riproduzione riservata