Il balzello non sortì il risultato a cui Mussolini agognava. Dopo l’avvio della battaglia demografica del regime fascista, insomma, non era seguito alcun sostanziale incremento della natalità, mentre l’unico effetto fu un’impennata dei matrimoni, scatto particolarmente evidente in Sardegna dove il numero di uomini e donne non sposati era, allora come oggi, particolarmente alto.

L’imposta sul celibato - entrata in vigore il 13 febbraio 1927 e abolita dal governo Badoglio il 27 luglio 1943 - era diretta soltanto agli uomini e riguardava dunque tutti i celibi (esclusi sacerdoti, religiosi, militari sottoposti a ferme speciali, malati di mente, stranieri) di età compresa tra i 25 e i 65 anni, i quali, a seconda dell’età e del reddito, erano chiamati a pagare un tributo che variava da 70 a 100 lire, a seconda del reddito e della fascia d’età. Il risultato più evidente e immediato fu il lievitare della burocrazia con una valanga di carte, timbri, firme e cartelle esattoriali che allungavano le file dei non ammogliati davanti agli sportelli.

La famiglia prolifica

Il gettito era devoluto all’Opera nazionale maternità e infanzia. La famiglia e la prole (quindi la famiglia prolifica) erano considerati il fondamento dello Stato sociale, anche in un’ottica di grandezza della patria. Seguì quindi un’ondata di matrimoni, escamotage per sottrarsi all’obbligo, e le culle dei piccoli italiani sognate dal regime restarono desolatamente vuote. Accadde addirittura che dal 1927 al 1934 la natalità calò di 4 punti percentuali, seguendo comunque un trend comune a tutta l’Europa occidentale. Di mezzo c’era ovviamente la crisi del 1929 e la depressione portata dai venti di guerra, e perciò non sortì alcun effetto neanche l’ulteriore stretta imposta dal governo che aumentò due volte l’imposta, nell’aprile 1934 e nel marzo 1937, con un’aliquota aggiuntiva che variava in base al reddito.

Il Paese di vecchi

Il boom demografico italiano arrivò invece con il miracolo economico degli anni ’50 e ’60, e il picco massimo di oltre un milione di nascite (1.016.120) registrato nel 1964. Il crollo costante delle nascite è invece cominciato con l’esplosione del debito pubblico negli anni ’90, e ha subito un’accelerazione con le crisi economiche del 2008 e del 2011. Oggi è una vera e propria emergenza nazionale, segnata nel 2020, il primo anno della pandemia, dal nuovo minimo storico di nascite dall’Unità d’Italia: 404mila. Un dato in ulteriore calo nel 2022.

L’esercito di single

L'Italia è un Paese che invecchia per il calo delle nascite e per l’aumento dell’aspettativa di vita. E c’è un dato, emerso nell’ultimo rapporto Istat, che dà conto dell’aumento delle famiglie composte da una sola persona che passano dal 24 al 33,2% (8,5 milioni di persone). Un dato che in Sardegna supera la proporzione nazionale. Nell’Isola, infatti, quasi 38 famiglie su cento sono unipersonali, e secondo le proiezioni nel 2030 saranno il 40%, percentuale questa che già oggi si registra in provincia di Sassari (40,1%) ed è di poco inferiore a Nuoro (39,8) e a Cagliari (38,7); mentre nel Sud Sardegna i single rappresentano il 33,5% delle famiglie, e a Oristano il 35%. Come si spiega questo fenomeno? Sabrina Perra, sociologa dell’Università di Cagliari, invita a una lettura non affrettata dei dati. «Intanto bisogna vedere la classe di età delle famiglie unipersonali, perché l’Istat considera tali anche i nuclei composti per esempio da anziane vedove. Ciò che invece dobbiamo tenere in considerazione sono le famiglie giovani, quelle che hanno l’età per fare figli. Quante sono poi le coppie, anche di lunga data, che non abitano nella stessa casa e hanno residenze diverse? Tantissime, e molte anche per via del lavoro, perché magari hanno sedi lontane».

Le ragioni storiche

Ci sono però anche ragioni storiche. Sì, sottolinea la sociologa, «in Sardegna abbiamo sempre avuto un’alta incidenza di nubili e celibi. Questo perché nella famiglia di origine le donne avevano posizioni più solide rispetto alle coetanee del Mezzogiorno. Non c’era la spinta al matrimonio, c’erano sì i matrimoni combinati, ma non esisteva alcuna pressione, e lo stesso valeva per gli uomini. Basti ricordare che nel censimento del 1931 fu registrata un’impennata di matrimoni perché tantissimi uomini si erano sposati per non pagare la tassa sul celibato maschile introdotta da Mussolini». Una tendenza che ha comportato, «un’età del matrimonio mediamente più alta rispetto alle donne e agli uomini del Mezzogiorno e una fecondità che si è ristretta in un arco di tempo ridotto. Tuttora, poi, resta la tendenza soprattutto da parte delle giovani donne alla scelta di non formalizzare la coppia nel matrimonio o nella coabitazione». I dati, spiega Sabrina Perra, «nascondono realtà sociali molto diverse che richiedono interventi pubblici appropriati: servizi sanitari e di assistenza per le famiglie unipersonali adulte, di ultrasettantenni; e politiche abitative e servizi per l’infanzia, soprattutto 0-3 anni, per i nuclei giovani. Servizi, questi ultimi, che in Sardegna vanno completamente riprogrammati».

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