Lucca custodisce un incredibile segreto. Nasce da uno slancio emotivo che ha del meraviglioso perché vive e si rigenera ormai da poco meno di 620 anni. È la verità mormorata da Ilaria del Carretto, in quel monumento funebre che parla di amore in una bellezza struggente, scolpito da Jacopo della Quercia. La marchesina di Lucca è la sostanza di questo sentimento, inspiegabile quanto sfuggente a ogni racconto. Insofferente tutte le volte che si cerca di costringerlo nei limiti di una grammatica. Amore e vita, dimensione sdrucciolevole su cui ha provato a muoversi Raffaele Sari Bozzolo, scrittore e poeta, nel suo “L’Illusione che tu m’abbia amato, un secolo di storie d’amore” (Bertoni Editore, gennaio 2021) dove il riferimento temporale del sottotitolo (il Novecento) è più uno spazio di storie universali che si ripetono e si inseguono, cambiano e poi tornano, in una continua rinascenza. Di certo non finiscono mai dentro una parola. E lo stesso autore chiama in suo aiuto Ilaria del Carretto, al cui misterioso fascino avevano ceduto D’Annunzio, Quasimodo, Pasolini, per esempio. John Ruskin, travolto dalla bellezza di Ilaria scrive pagine intense, Roberto Longhi e, alla fine degli anni Ottanta, il suo allievo Vittorio Sgarbi.

Jacopo della Quercia, Monumento funebre di Ilaria del Carretto, particolare (foto r. r.)
Jacopo della Quercia, Monumento funebre di Ilaria del Carretto, particolare (foto r. r.)
Jacopo della Quercia, Monumento funebre di Ilaria del Carretto, particolare (foto r. r.)

IL LIBRO «L’idea è quella di raccontare il ’900 non attraverso la sequenza delle sue barbarie, ai chiamino guerre o fanatismi, speculazioni o discriminazioni, ideologie perverse o regimi dittatoriali, ma parlando semplicemente di storie d’amore, iconiche al punto tale da riassumere in sé le storie di tutti coloro che quel secolo l’hanno vissuto». Così spiega l’autore nella introduzione al libro dove racconta il suo innamorarsi a Lucca davanti al volto di Ilaria. «Io, nato e cresciuto a Finale Ligure, in quel che era stato il marchesato della sua nobile famiglia, mi ritrovai lì ad ammirare il profilo marmoreo di Ilaria del Carretto, marchesina triste, morta da quelle parti secoli prima. La mia musa non poteva che essere lei, perché da allora, per me, la sua storia è diventata l’archetipo di tutte le storie d’amore che sanno superare i confini del tempo e farsi storia del tempo stesso». Amori che nascono, si alimentano e muoiono, talvolta da soli, spesso insieme ai loro protagonisti in una ricostruzione che il più delle volte tradisce l’instancabile ricerca dell’autore di quel momento primo, quasi un indugiare chirurgico non “al tempo d’i dolci sospiri” ma all’attimo appena antecedente. Forse per raccontare quella magia che solo Ilaria custodisce.  È l’incontro da cui tutto partì a dispetto degli infiniti “destini incrociati” da cui invece tutto sarebbe potuto essere diverso. «Era il 3 agosto 1916, quando i due s’incontrarono per la prima volta...». La storia di una grande passione, davvero commovente, tra Dino Campana e Sibilla Aleramo. Ed è proprio dalle parole di Campana che Sari titola il suo libro. O quello che legò Zelda Sayre e Scott Fitzgerald, «s’incontrarono per la prima volta ad una festa da ballo a Montgomery, una piccola e anonima cittadina dell’Alabama...». “L’amore criminale” di Bonnie e Clyde, «s’incontrarono nel gennaio del 1930 a casa di un’amica e fu amore a prima vista...». E poi il bacio cinematografico sul set («e molti dietro le quinte») tra Lauren Bacall ed Humphrey Bogart. L’amore normale tra Oona e Chaplin; e quello «nascosto» che ha segnato tutta la vita di Katharine Hepburn e Spencer Tracy. Sari ricorda le parole scritte nell’autobiografica che l’attrice pubblicò dopo la morte di Tracy avvenuta il 29 giugno 2003: «Lo amavo e volevo stare con lui. Lasciarci ci avrebbe reso molto più infelici di come lo eravamo insieme...». Sfilano grandi nomi e con loro complesse profondità di sentimenti. Sfila un’epoca: Ingrid Bergman e Roberto Rossellini; Marilyn Monroe e Joe Di Maggio; Giulietta Masino e Federico Fellini. E molti altri, sino ad arrivare a Jim Hutton e Freddie Mercury, Yoko Ono e John Lennon, Francesca Morvillo e Giovanni Falcone; Raissa Maksimova e Michail Gorbaciov. Un diamante emotivo dalle innumerevoli sfaccettature. O per dirla con le parole di Raffaele Sari: amore illuso, folle, criminale, sorridente, normale, nascosto. Amore complicato, testardo, irrinunciabile, perduto, atteso o contro tutti. Scandaloso, come quello tra Carla Gravina e Gian Maria Volonté. Triste (Dalila e Luigi Tenco). E ancora nobile, tradito. Quello “egoista” (Romy Schneider e Alain Delon). L’amore per sempre, cosmico, all’improvviso. Tossico e sospeso. Uno solo brillante con infinite esistenze.

LA MUSA Era l’8 dicembre 1405 quando morì Ilaria del Carretto, appena venticinquenne e da pochi giorni mamma per la seconda volta. Aveva dato alla luce la secondogenita che suo marito, Paolo Giunigi, signore della città, volle si chiamasse come lei. Ma è l’arte a darle una nuova vita più vera della sua breve esistenza. Senza più scadenze. Jacopo della Quercia, chiamato da Giunigi, iniziò probabilmente l’anno successivo una scultura che a dispetto della pietra, fredda e immobile, trapassa l’eterna fragilità dell’esistenza, il Monumento funebre di Ilaria del Carretto. Un’opera d’arte straordinaria perché viva, tanto da far innamorare in ogni epoca, di quello stesso sentimento, chi si accosta a lei e la sa ascoltare. Ilaria è viva lì. Contemporanea di ogni età, quanto il suo cagnolino, scolpito sveglio e paziente da Jacopo della Quercia, consapevole che lei sia viva. L’aspetta da quasi 620 anni accucciato ai suoi piedi. Ilaria respira la propria esistenza, certamente più concreta e materiale dei suoi stessi resti conservati invece nella cappella della famiglia Giunigi. E ogni volta ripete quei mille nomi di un solo sentimento.

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