Sarebbe un vero peccato se la pandemia rovinasse anche il 2021 di Tonino Scarpitti. L'organizzatore ciclistico molisano, 71 anni, ha in mente di festeggiare una doppia ricorrenza: I cinquant'anni in Sardegna, dove arrivò nel 1971 (e dove ha avuto una bella carriera da direttore di Cancelleria in pretura, poi al Tribunale di Cagliari e alla Procura dei Minori), e la venticinquesima edizione della sua creatura sportiva, il "GiroSardegna". Un anniversario che vorrebbe celebrare il prossimo aprile, rintracciando tutti i 63 partecipanti della prima edizione di quello che allora si chiamava "Giro delle Coste della Sardegna", per invitarli a quella che ne frattempo è diventata la corsa a tappe amatoriale più importante d'Italia, sempre con la firma della Mare&Monti.

Scarpitti, ha appena chiuso la 24a edizione del suo Giro: è stata la più sofferta?

"Assolutamente sì. Anche più dell'anno scorso con il fatto che era Pasqua e c'era stata una bufera di vento e altri problemi. Ma quest'anno i problemi sono stati numerosi prima e anche durante la settimana. Problemi nuovi, non di tipo organizzativo, ai quali non siamo abituati. Abbiamo fronteggiato la paura: se fosse successo qualcosa in hotel nessuno sapeva di preciso come affrontarlo, ma è andata. E anche se abbiamo dovuto annullare una tappa per il cattivo tempo, alla fine erano tutti soddisfatti quando sono ripartiti".

Siete riusciti a portare ad Alghero 220 iscritti, gusto?

"Sì, anche se è comprensibile che, tra i cicloamatori sardi, non sempre tutti fossero presenti in tutte le tappe. Potevamo rinviare tutto al 2021 ma io ero ottimista sul fatto che l'estate avrebbe portato via tutto. Per questo ho dato la possibilità a chi era già iscritto di venire a ottobre o l'anno prossimo. Ma quando c'è stato il problema di Porto Cervo, le nuove ordinanze del presidente della Regione che hanno spaventato le persone. Teoricamente potevo tenere tutti quelli che avevano fatto la scelta di venire a ottobre, ma lo scopo è sempre di fare una vacanza piacevole e ho accettato per molti lo spostamento ad aprile 2021. Abbiamo già 400 iscritti, speriamo non succeda altro".

C'è un'edizione che ricorda con maggior affetto?

"Sarà scontato ma dico la prima. Per due motivi: nessuno aveva mai fatto una cosa del genere. Avevo studiato per fare l'organizzatore di una gran fondo, ma farne cinque di seguito era veramente complicata. Anche perché, preso dall'entusiasmo, avevo fatto la prima tappa a Quartu, poi tre tappe di spostamento e quindi la Gran Fondo della Costa Smeralda a Olbia. In quelle tre poiché ero matto (e forse lo sono ancora), avevo portato un ciclista non vedente di Catania. Non avevo trovato una guida e ho dovuto farlo io che sul tandem non ero mai salito. Ma per fortuna era forte di suo".

Chissà quanti episodi da raccontare.

"Tanti. Negli anni è diventato tutto molto più agonistico, allora era più rilassato. Per esempio: non era mai prevista una tappa cicloturistica, ma si decideva in corsa, nel gruppo: oggi ce la prendiamo comoda. Se lo proponessi adesso mi scorticherebbero vivo! La classifica è diventata il fulcro della manifestazione. Anche se c'è chi viene per la Sardegna e per stare in gruppo, la formula del giro è talmente interessante per tutti che anche chi va piano si trova a combattere con altri che fanno piano. E tutti fanno classifica. Il giorno della cronometro a squadre tutti hanno preso la pioggia senza rinunciare e perdere magari un solo minuto". Voleva dare ai cicloamatori la sensazione di una gara simile al Giro d'Italia: è ancora questa l'idea-guida? "Oggi lo è ancora di più. Perché al Giro d'Italia la gara la fanno tutti ma la classifica interessa solo i capitani. I gregari finiscono il lavoro e si fermano. Qui c'è battaglia tra i primi ma anche tra quelli che arrivano dietro e hanno le loro sfide personali".

Ci parli dei fedelissimi: quanti giri hanno fatto i partecipanti più affezionati?

"Il primo, Antonio Pegoraro: è un veneto che ha una casa in Gallura. Ha fatto la prima edizione e ha continuato. Non è mai mancato. Ci sono altri due che sono arrivati al secondo anno e altri che ne hanno fatto 21 o 19 o 18. Da qualche anno è tornato anche il romagnolo Daniele Bertozzi che aveva dominato le prime tre edizioni. Era un fenomeno. E poi mi viene in mente la trentina Carla Bernard che ha almeno venti edizioni. Lei va piano ma è appassionata dall'Isola e della manifestazione. Anzi mi segue anche nelle corse che organizzo all'estero. Ma ce ne sono tanti".

I collaboratori. Qualcuno dice che sfinisca più il lavoro organizzativo che la corsa fatta in bicicletta.

"Questo è stato un problema per tanti anni. All'inizio eravamo un gruppo di amici che si prendevano le ferie per organizzare questa gara. La mia preoccupazione era passare a uno standard più professionale. Per esempio non facevamo mai arrivi in città, troppo complicati. Ma poi noi siamo invecchiati, gli standard organizzativi sono migliorati in tutta Italia e adesso mi appoggio a strutture e a service professionali che fanno le cose più impegnative, come montare le strutture di partenza e di arrivo. E noi dirigenti restiamo responsabili e facciamo le cose meno pesanti. Però la fatica c'è sempre".

I primi anni sono stati di messa punto. Ci sono cose per le quali oggi si metterebbe le mani nei capelli?

"Per molte (ride). All'epoca facevamo i ristori con una macchina che partiva prima, si fermava, apriva il portellone, dava la roba da mangiare e poi ripartiva, superava tutti i corridori e rifaceva la stessa cosa. Era una cosa pionieristica, oggi improponibile. Ricordo quando facemmo la prima Cagliari-Arbatax. Chi tracciava il percorso partiva prima magari un'ora dei ciclisti, pensando che non l'avrebbero raggiunto. Arrivò Bertozzi e il traguardo non era stato ancora segnato. Altri tempi. I primi anni ci spostavamo come il Giro d'Italia, ma era una fatica per tutti, anche per i ciclisti e gli accompagnatori. All'inizio abbiamo fatto tre sedi, poi due, alla fine abbiamo trovato questo sistema "a margherita", facciamo base sempre nello stesso albergo e conosciamo meglio una sola zona. Così nel pomeriggio i ciclisti cono molto più rilassati e non devono spostare i bagagli. E si crea un certo rapporto con i paesi in cui si sta. C'è più collaborazione con le amministrazioni".

La Sardegna è tutta uguale o ci sono zone dove è meno complicato organizzare?

"C'è una zona che io vorrei tanto fare ma è complicata ed è l'Ogliastra. È difficile arrivarci, lontana da aeroporti e porti e le strutture in quel periodo (ad aprile) non sono abituate ad lavorare. La zona migliore è quella di Alghero. Ci sono pianure, salite, percorsi spettacolari e gli alberghi sono abituati ad aprire a Pasqua. Al sud questo c'è un po' meno. Un'altra zona dove ci troviamo sempre bene è quella vicino a Olbia, ma più a sud che a nord, da Orosei a Budoni. A Cagliari siamo stati nel 2019 ma essendo la zona più popolosa abbiamo avuto molti maggiori problemi. L'anno prossimo torneremo ad Alghero, voglio farla vedere a chi non c'è mai venuto. Consideriamo che un 55-60% sono corridori che vengono la prima volta. In continuo ricambio e da qualche anno stanno aumentando molto gli stranieri. A parte quest'anno per i problemi che conosciamo".

Perché la gente viene a pedalare in Sardegna?

"Per due motivi. Primo: nessuno la conosceva dal punto di vista ciclistico, soprattutto gli stranieri. Ci venivano solo come cicloturisti. I primi anni gli stranieri venivano al Giro pensando di passeggiare ma siccome da loro questa gare non esistono, quando hanno capito che cosa era sono diventati matti. Due anni fa avevo 78 inglesi. Ci sono canadesi che vengono ogni anni dall'Alberta. E il secondo motivo è che scoprono quello che ho scoperto io 50 anni fa. La Sardegna è un capolavoro della natura per il ciclismo, io giro tutto il mondo e vi dico che è il posto migliore. Clima, strade deserte, panorami: d'inverno andiamo in pantaloncini corti. E chi lo scopre dice: perché dovrei andare a Maiorca?".

Cosa pensa dei ritiri invernali dei team pro per promuovere l'Isola?

"Sarei d'accordo a portare non solo le squadre professionistiche ma anche a quelle amatoriali, perché ce ne sono tantissime in giro per l'Europa. Una riduzione del prezzo sugli aerei potrebbe essere un incentivo. Come fanno trentamila tedeschi a Maiorca, per non parlare di Tenerife che vive di triathlon e ciclismo. E lì cresce il rispetto per il ciclista. Questo se curato con attenzione porterebbe alla Sardegna un turismo straordinario. Ripeto: è il posto migliore al mondo per fare ciclismo. Un po' come il sud del Sudafrica, ma con minori problemi".

Invitare gli ex pro è un vantaggio o un rischio?

"Non ho mai spinto su questa cosa, anche se qualcuno in passato veniva per curiosità o era in certe squadre. Ma quando un ex professionista mi chiama, io gli dico: vieni e paghi la quota. Quest'anno avevamo un ex pro importante che poi non è venuto. Ma avevano un bravissimo triatleta come l'ex campione italiano Marcello Ugazio, venuto per allenarsi a sue spese. Ma se alla gente fa piacere fa piacere anche a me".

In realtà qualcuno è un vero e proprio professionista del ciclismo amatoriale, se ci si passa l'ossimoro.

"Assolutamente ed era vero ancora di più qualche anno fa. C'erano molti ex professionisti che si dedicavano in modo professionale al ciclismo amatoriale. Adesso un ex non può passare amatore prima di un certo numero di anni e il fenomeno si è sgonfiato. Ma gente come Massimiliano Lelli lo fa per passione".

Il doping purtroppo è un problema più serio in ambito amatoriale che professionistico. Come lo affrontate? "È un problema difficilissimo da risolvere e nessuno ci è riuscito sinora a qualunque livello. Noi ci limitiamo a fare ciò che è previsto. Se vengono i controlli li agevoliamo. Certo non fa piacere sapere che poi di cinque controlli, uno risulta positivo. Ma purtroppo il problema c'è e non sarà facile eliminarlo. Ormai ci si dopa anche dove non si vince niente. Io mi meraviglio sempre ma capisco che sia la natura umana".
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