«Generazionale fino a mozzare il fiato». Delle frasi a effetto in quarta di copertina nella prima edizione italiana di “Meno di zero” (Pironti editore, 1986) è quella che meglio inquadra il libro, e che richiama molto di ciò che l’autore ha rappresentato per i suoi lettori negli anni a venire. Quando l'ha scritto, Bret Easton Ellis aveva diciotto anni. Frequentava l’ultimo anno della superelitaria Buckley School di Sherman Oaks, nei pressi di Los Angeles, e in parte il libro è ricavato dal diario che teneva in quei giorni. Finito il liceo, scelse un’università della East Coast, il Bennington College nel Vermont. Quando rientrò a casa per le vacanze di Natale scrisse il manoscritto di getto.

Lo convinse un redattore della Simon & Schuster che per caso aveva letto un suo pezzo sulla gioventù di LA. A quel punto Ellis entrò in un workshop guidato dallo scrittore Joe McGinnis che gli fece mettere nero su bianco una prima stesura, e poi una seconda. Si partiva da cinquecento pagine che vennero ridotte di due terzi. Quando arrivò nella casa editrice, Meno di Zero era già un caso letterario. Tanto che, prima che il romanzo cominciasse a circolare, si erano già fatti avanti i produttori per la riduzione cinematografica. E in effetti due anni dopo ne fu tratto un film. Tra i protagonisti, Robert Downey Jr e James Spader. Era il 1987 e l’anno prima Ellis aveva «festeggiato la laurea con un party alla Grande Gatsby nell’Hotel Claridge di New York affollato di personalità, tra cui Andy Wharhol e Keith Haring», ricorda Fernanda Pivano nel celebre saggio “Minimalisti e postminimalisti hemingwayani” apparso come postfazione proprio nella prima edizione italiana di Meno di Zero.
A ventidue anni, dunque, BEE era già una star. Pochi giorni fa ne ha compiuto sessanta. Nel frattempo ha pubblicato altri cinque romanzi, la raccolta di racconti “Acqua dal sole” e il saggio “Bianco”. L’ultimo romanzo, “Le schegge”, risale al 2023. Il precedente a tredici anni prima.
In Meno di Zero Ellis il protagonista è Clay, tornato a LA per le vacanze di Natale dopo il primo semestre di università nella East Cost. Vacanze che «si trasformano in un gironzolare disperato che fa venire il capogiro e che ci porta tra ricche case nei quartieri alti, feste interminabili, rock caffè scintillanti». Scrive ancora Pivano, a proposito di Meno di Zero: «In una mappa di negozi, ristoranti, clubs, bar da miliardari, di cui Ellis adopera i nomi veri, i personaggi si muovono usando ogni genere di droga e ascoltando in continuazione gruppi rock: nel romanzo ne vengono nominati ventidue. Quando non ascoltano musica, non si ubriacano, non si drogano, non vanno alle feste o nei negozi, i ragazzi passano il tempo ad abbronzarsi e in palestra, o in cerca di avvenimenti che li facciano sentire vivi, sia pure senza scopo».
“Le schegge”, pubblicato quasi quarant’anni dopo, rievoca il periodo del liceo di Bret, la Buckley School di Sherman Oaks. Sono sempre gli anni ’80 e la gioventù è ancora quella dorata di Los Angeles. Narratore in prima persona è il 17enne Bret che vuole fare lo scrittore ed è ossessionato da una violenta setta hippie e da un serial killer che uccide, tortura e smembra adolescenti.
Tra Le schegge e Meno di Zero c’è molto altro. Ancora gli anni ’80 ma nella New York del romanzo più famoso di Bret Easton Ellis, American Psyco, dove il 26enne protagonista Patrick Bateman fa il broker di giorno mentre di notte si trasforma in uno spietato serial killer. Il libro contiene descrizioni dettagliatissime, quasi ossessive, dei vestiti, dei ristoranti. Bateman è attorniato da amici e colleghi che gli somigliano, tanto che viene scambiato per l’uno o per l’altro. Qualcosa del genere capita anche a Victor Ward, protagonista di Glamorama, romanzo che Ellis pubblica nel 1998.
Quattro anni prima di “Le Schegge” esce “Bianco”, dove Ellis critica i Millennials, i liberal, il politicamente corretto, la cancel culture. Un saggio che non poteva fare a meno di scrivere perché - spiega nell’incipit - «a un certo punto nel corso degli ultimissimi anni, un vago eppure quasi opprimente e irrazionale fastidio ha preso a straziarmi fino a una decina di volte al giorno. Questo fastidio riguardava cose all'apparenza così secondarie, così lontane dai miei consueti interessi, che ero sorpreso dalli sforzo che dovevo fare per liberarmi dal disgusto e dalla frustrazione provocati dalla stupidità altrui: adulti, semplici conoscenti ed estranei che sui social condividevano pareri e giudizi avventati, stupide preoccupazioni, sempre con l’incrollabile certezza di avere ragione».

© Riproduzione riservata