L’arte di Wanda Nazzari, è tutta dentro quei nidi, dagli anni Ottanta ad oggi. E ancora oggi prende forma e si sviluppa in quello spazio magico, nel silenzio di una mente in meditazione.  

“Questi nidi mi sono cresciuti dentro - racconta sottovoce l’artista – mi hanno cercato loro”.

Come “culle protettive, grumi di consapevolezza, embrioni dell’anima. Una costante nei lavori di Wanda Nazzari, che oggi, nel momento storico che stiamo vivendo, diventa un percorso molto attuale” spiega Alessandra Menesini, curatrice, insieme a Mariolina Cosseddu e Annarita Punzo, della mostra “Di Rame e di vento” che resterà a Oristano, al Museo Diocesano, fino al 29 agosto.

Wanda Nazzari al Diocesano, con Silvia Oppo
Wanda Nazzari al Diocesano, con Silvia Oppo
Wanda Nazzari al Diocesano, con Silvia Oppo

Wanda Nazzari è nata a Cagliari nel 1935: cinquant’anni dedicati all’indagine estetica attraverso pittura, scultura e teatro. In occasione dell’apertura della sua mostra il Diocesano si riempie. Lei, in mezzo alle curatrici della sua antologica, ascolta e annuisce, sguardo basso, avvolta dentro un bel saio bianco di pizzo, che continua nell’argento del suo caschetto canuto. Niente sorrisi: è debole, cammina piano, aggrappandosi al braccio dei tanti amici felici di accompagnare i suoi passi. La sua voce ha un’eco di dolcezza, ma è ferma nel ripercorrere i sentieri delle sue creaturine fatte di vento e spiritualità e per questo accolte dal museo Diocesano. “La mostra raccoglie negli ambienti del museo, come in un approdo naturale e pensato da tempo, le opere-nido dell’artista. Oggetti scultorei preziosi e intrisi di valori radicati nella poetica dell’artista, che della ricerca della spiritualità ha fatto percorso costante e intimamente sofferto” scrive la direttrice Silvia Oppo.  E Wanda Nazzari è proprio felice di essere qui. La solennità della location la emoziona e la riempie di gioia. Perché è proprio da quella spiritualità che sgorga tutta la bellezza, la sofferenza, la ricerca. Il progetto, rinviato a causa delle chiusure dettate dalla pandemia e prorogate con l’accesso della Sardegna in zona rossa, oggi vede la luce.

“Il percorso espositivo si articola in una successione di stazioni narrative che invitano al raccoglimento  - spiega Annarita Punzo – al coinvolgimento emotivo con la dimensione archetipica del nido, evocata e rielaborata dall’artista in uno spazio processuale e metamorfico intimo, privato, prezioso e al contempo aperto offerto, condiviso”.

“I nidi di Wanda racchiudono la simbologia cristiana della vita e della morte e gli interrogativi di ogni coscienza -continua Mariolina Cosseddu– Sono forme altamente simboliche che Wanda ha costruito pazientemente giorno dopo giorno, come una ragnatela sempre più solida. In quegli intrecci si rapprende tutta a sua storia personale e quella del suo tempo”.

È in questi grumi soffici che l’artista si sente a casa, sicura, avvolta da un bozzolo di infinite possibilità da cui tutto ha origine: una sorta di placenta nutritiva per la sua arte, per trovare la forza di affrontare la vita.

“Il nido è una preghiera – sussurra Wanda mentre spiega piano il senso dell’allestimento – è un processo mistico. Un momento di riflessione”.

Inginocchiatoio, opera di Wanda Nazzari
Inginocchiatoio, opera di Wanda Nazzari
Inginocchiatoio, opera di Wanda Nazzari

La mostra è una selezione di opere realizzate da Wanda Nazzari corso della sua vita: c’è lo storico inginocchiatoio, sempre attuale nella filosofia della sua ricerca. Una fila di libri solcati da caratteri ebraici che segnano la pelle delle pagine come marchi di fuoco. Misteriose scritte celate tra le trame di tessuti preziosi, antiche lettere di famiglia. Punti di partenza e di arrivo attorno ai quali l’artista tesse il suo bozzolo che le permetterà, ogni volta, di assistere alla nascita di nuove farfalle di consapevolezza. Nidi bianchi, candidi, ma anche viola e neri: germogli di lutto, trame catartiche, nicchie di elaborazione.

“Dietro questi lavori c’è tanta fatica – racconta Wanda Nazzari indicando alcune delle sue sculture– prima stramo i tessuti, poi li ricompongo. È un lavoro lento e paziente, come una preghiera”. Una meditazione profonda, fatta di gestualità e riflessione che porta al manifestarsi del significato, una vera e propria epifania. Per i buddisti: illuminazione.

Ma quel grembo materno è anche un rifugio sicuro dove si torna per affrontare la fine. Un punto di partenza e di arrivo un cerchio che prima o poi si chiude. Wanda Nazzari, ci accompagna dentro quel cerchio, tenendoci per mano, alla scoperta della nostra essenza.

“Le opere di Wanda Nazzari traducono l’anelito dell’anima a ricongiungersi con Dio –conclude Punzo – Con questa mostra il Diocesano Arborense si fa nido, dimora accogliente e simbolo di speranza, rinascita, ripartenza. Dopo la tempesta”.

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