Quando nell’estate dell’82, quella del mundial, i Rolling Stones suonarono in Italia molti tra coloro che andarono a vederli pensarono che sarebbe potuta essere l’ultima volta. Mick Jagger aveva 39 anni ma – pensarono - gente così, quelli che suonano rock and roll e vivono tra sex, drugs e rock and roll, muore giovane.

Quarant’anni dopo Jagger è ancora lì che si dimena sui palchi di tutto il mondo. Lo fa perché il mercato dei boomers è tra i più floridi che esistano. I sessantenni di oggi sono i quarantenni di trent’anni fa e hanno voglia di emozionarsi, magari rivivendo esperienze del passato, anche quelle musicali. Hanno soldi da spendere e amano farlo anche per la musica live. Ecco perché decine di band storiche che avevano appeso le chitarre al chiodo sono tornate sulla scena ed hanno firmato lucrosi contratti per suonare ovunque.

Lunedì 17 ottobre, Mediolanum Forum, Milano, ore 21,15. Ian Paice, 74 anni, inizia a battere su grancassa e rullante. Roger Glover, 77 anni, lo segue col basso a completare la base ritmica. Don Airey, 74 anni, introduce la base melodica fino al momento in cui Ian Gillian, 77 anni, inizia a cantare Higway star, uno dei loro pezzi più celebri.

“Nobody gonna take my car, i'm gonna race it to the ground”.

Ritmo infernale, complicato anche per un ventenne. Ma Paice è una drum machine, perfetto.

Benvenuti al concerto milanese dei Deep Purple, gente che fa hard rock, anzi l’hard rock l’ha inventato, da 54 anni. Primo concerto 1968, ultimo chissà. Nel mezzo 102 album, 100 milioni di dischi venduti (bootleg esclusi), una carriera luminosa ma con decine di stop&go, di addii, defezioni, ritorni. Un gruppo al quale milioni di boomers non intendono rinunciare. Ecco perché anche loro, come gli Stones, vivono la loro ennesima vita sulla scena.

Il nucleo storico è rimasto, anche se Paice è l’unico che fa parte della band dalla formazione originaria (la cosiddetta Mark 1) e l’unico che non è mai andato via. Gli altri sono entrati e usciti più volte prendendosi pause anche decennali. Quella odierna è la Mark 9 e da pochi mesi ne fa parte anche Simon Mc Bride, fenomenale chitarrista scozzese, quarantatreenne, che ha preso il posto di Steve Morse, altro esponente storico della band assieme a un altro dei fondatori, Ritchie Blackmore.

Al live del forum di Assago assistono ottomila persone, più o meno. Gruppi di amici over 50, padri e figli, coppie attempate ma anche giovani anticonformisti che fortunatamente non ascoltano Sfera Ebbasta.

A Highway star seguono Pictures of home, No need to shout, Nothing at all, Uncommon man, Lazy, la struggente When a blind man cries, Anya, Perfect strangers, Space Truckin’ prima del gran finale con Smoke on the water con Mc Bride che diventa front man (lo fa più volte durante il concerto) e suona il riff più famoso del rock davanti a un pubblico in delirio. Seguono i bis con Hush e Black night. Un viaggio lungo mezzo secolo tra evergreen e pezzi dal loro ultimo album – Turning to crime - del 2021.

Un concerto straordinario, intenso, hard come ci si aspettava. L’alchimia – componente fondamentale per una band – è quella di un tempo. Un live ben suonato (certo, la voce di Gillian ha perso molto smalto) in un palco arricchito da un video wall che rimandava le riprese live dei protagonisti tra i quali non si è mai scorto un attimo di apparente stanchezza. Come facciano a suonare così a un’età in cui di solito si va ai giardinetti con i nipotini è un mistero.

Prima di loro, per molti a sorpresa, si è esibita un’altra band di nonnetti: i Jefferson Starship, spin off dei Jefferson Airplane. Un altro pezzo di storia che resiste dal 1974. Sul palco c’è ancora un sorprendente David Freiberg, 84 anni, unico tra i fondatori dalla band ancora in attività e ancora capace di una performance vocale impressionante. Ha corde vocali buone, evidentemente. E’ ancora lui il garante del marchio Jefferson, che ha saputo produrre pietre miliari come White rabbit, Jane e Somebody to love. Puntualmente esibite in una scaletta di nove brani (altro che gruppo spalla).

Prima del live e alla fine, durante lo sfollamento verso i parcheggi o la fermata della metro, gli spettatori fanno la fila per acquistare magliette, felpe, bandana, spille perché le emozioni hanno bisogno anche di materia che le ricordi e le evochi. Ecco perché il merchandising dei Purple funziona benissimo.

A proposito: lo scorso 25 novembre si è sparsa la voce che Ian Paice fosse morto. Era una fake news. Lui ancora tra noi, da qualche parte nel mondo, a pestare sul suo rullante a ritmi da far venire i brividi.

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