Gli incendi dolosi e le facili soluzioni a un problema complesso
Aumentare la pena prevista per chi appicca un rogo, dimenticandosi di migliorare la prevenzione e rafforzare la macchina dei soccorsi, non basta a limitare un crimine originato da cause innumerevoli e non sempre punibiliPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Dunque estirpare la piaga degli incendi che devastano la Sardegna, e le altre regioni d’Italia, è semplice. Inasprire le pene per accrescere il timore che esse portano con sé. Più anni di reclusione per indurre a una maggiore prudenza nel maneggiare un fiammifero la cui accensione avrebbe un effetto potenzialmente, spesso volutamente, devastante. Il classico uovo di Colombo. Ma anche il riflesso condizionato dei governanti che, come in questo caso, davanti a problemi complessi offrono non di rado soluzioni semplici e di immediata comprensione, pur se di difficile applicazione. Aumentano i furti? Si faccia altrettanto anche con gli anni di carcere per i responsabili. L’impressione è che si tratti di provvedimenti-spot.
Una realtà complessa
La realtà, come sempre accade, ha più sfaccettature. Fosse tanto facile e consequenziale ottenere buoni risultati col solo legiferare, il mondo sarebbe migliore (in parte). Obiezione: inquadrare tutto dentro una cornice normativa è complicato, se non impossibile. Ancor più lo è ipotizzare che i comportamenti umani seguano con disciplina i dettami delle leggi: nel caso, vivremmo in un pianeta di fatto privo di delinquenza. È così? Certamente no. E che in fondo una punizione più severa non sempre abbia l’effetto deterrente sperato lo dimostra, con tutta la prudenza del caso, l’esempio degli Usa (ma non solo): in diversi suoi Stati vige la pena di morte, spauracchio che non ha eliminato né ridotto sensibilmente il numero di reati anche molto gravi (omicidi e femminicidi su tutti) commessi ogni anno. Anzi, il livello di criminalità nella democrazia faro del mondo è ben più elevato di quello registrato in Italia, dove da decenni si assiste a una sua costante diminuzione.
Così sembra più ragionevole ritenere che, parallelamente all’utilizzo della forza repressiva e punitiva (comunque indispensabile e propria di uno Stato con regole di convivenza uguali per tutti: chi le viola ne paga le conseguenze), serva diffondere con maggiori forza e incisività a tutti i livelli un’educazione civile e una coscienza del rispetto (altrui, della natura, dei beni comuni) che purtroppo nel nostro Paese è molto carente. E, sull’altro fronte, implementare una macchina dei controlli e dei soccorsi con tutta evidenza insufficiente a garantire interventi efficaci e immediati in caso di necessità. Quasi mai per sua responsabilità.
Diversa consapevolezza
Perché i fenomeni cui si è assistito in questo agosto infernale, con le fiamme che hanno incenerito ettari (2mila) di macchia mediterranea e bosco dal nord al sud dell’Isola danneggiando abitazioni civili e minacciando anche le vite umane, sono spesso provocati da criminali consapevoli di esserlo (le forze dell’ordine hanno trovato decine di inneschi); altre volte da incivili che si comportano da criminali. Oppure, c’è anche questa possibilità, da persone vittime di patologie psichiche che le rendono inconsapevoli del disvalore delle proprie azioni e di conseguenza, a seconda dei casi, non punibili. Appare chiaro allora che la soluzione sia tutt’altro che semplice da trovare e mettere in pratica, e che al doveroso e opportuno uso della legge - con quel che ne deriva: arresto, detenzione, processo, sentenza, pena il più severa possibile per chi realmente abbia appiccato con intenti delinquenziali il fuoco - si affianchi quello dell’insegnamento, da una parte, e del rafforzamento delle squadre e dei mezzi di soccorso e investigazione, dall’altro. Perché trovare i responsabili a danno compiuto è già di per sé complicato (a volte ci si riesce); preferibile sarebbe eliminare il problema tramite un lavoro di sensibilizzazione sin dalle scuole prima, e di controllo capillare sul campo poi. Soprattutto in periodi a rischio come quello estivo.
All’origine dei roghi
Nell’infernale primo weekend di agosto in Sardegna sono intervenuti undici Canadair arrivati anche dalla Sicilia, da Ciampino e dalla Toscana: «Per fortuna lì non avevano incendi in corso e hanno potuto convergere sull’Isola», ha spiegato sull’Unione Sarda del 10 agosto Fabio Migliorati, comandante del Corpo forestale regionale, che rispondendo alle domande del collega Enrico Fresu ha anche rimarcato l’arrivo di sei elicotteri sottolineando che altri cinque sono rimasti a terra «a causa delle condizioni meteo avverse». Il maestrale, che toccava punte di oltre 100 chilometri orari, ne metteva a rischio la sicurezza (i mezzi erano troppo leggeri) e dunque ne rendeva impossibile l’utilizzo.
Poi la possibile spiegazione del motivo all’origine dei roghi: «Chi appicca il fuoco non lo fa per speculazioni sul territorio. Impedendo l’edificazione per 10 anni» sui terreni inceneriti, «la legge rompe questo schema. Qualcuno fa bruciare tutto anche solo per vedere le reazioni o i mezzi aerei in volo». Tesi solo in apparente contrasto con quella illustrata appena due giorni prima su la Repubblica da Stefania Murranca, direttrice del servizio antincendio del Corpo forestale sardo, secondo la quale «solo l’uno per cento» di tutti gli incendi accertati come dolosi negli anni «è stato acceso da persone con una vera patologia. Per il resto» si trattava di «vendette tra privati, litigi tra allevatori confinanti, conflitti tra compagnie di caccia». Capita anche si tratti di «ragazzini annoiati che poi giravano video caricati in rete».
Quindi: i mezzi di contrasto sono pochi e insufficienti e in talune occasioni devono attraversare il Tirreno per intervenire sui cieli sardi; inoltre sono variegate le cause di questi comportamenti (divertimento; ritorsione; patologie), tra le quali vanno inserite anche quelle inconsapevoli ma altrettanto gravi (la cicca di sigaretta ancora accesa buttata sulla strada dagli automobilisti, o dai passeggeri, che finisce sulle sterpaglie e innesca il rogo; incoscienti villeggianti che accendono il barbecue senza le dovute precauzioni e scatenano l’inferno). Responsabilità differenti per esiti a volte identici che comportano punizioni diverse.
Controlli e prevenzione
Più che puntare tutto e solo sull’incremento dell’afflittività, provvedimento in ogni caso opportuno in determinate circostanze (devastare la natura è un comportamento tra i peggiori: oggi per l’incendio boschivo sono previsti dai 4 ai 10 anni di reclusione, il Governo vuole salire a 6 anni come pena minima), sarebbero forse decisivi tre elementi: il rafforzamento dei sistemi di controllo e intervento, un efficace sistema di prevenzione attraverso una diffusa sensibilizzazione della popolazione (turisti compresi), la certezza della pena (nessuno sconto, o quasi, a chi si renda responsabile consapevolmente di questi crimini, e già ora chi subisce la condanna non può usufruire, almeno inizialmente, di alcun beneficio: va in cella subito). Tesi portata avanti anche dagli ambientalisti del Gruppo di intervento giuridico, i quali chiedono inoltre «il Daspo ambientale per gli incendiari», perché «prevenzione ed efficienti apparati di protezione civile non bastano».
La strada è lunga e contorta. Ma se non la si comincia a percorrere, mai si arriverà al traguardo.