Consumati nel corpo e nell’anima da turni massacranti, responsabilità enormi per i comuni mortali e retribuzioni insufficienti. La quotidiana odissea degli infermieri italiani potrebbe essere assimilabile a qualsiasi vertenza professionale del nostro Paese, se non fosse che le migliaia di donne e uomini che popolano le corsie degli ospedali hanno letteralmente sotto le mani le nostre vite. E incredibilmente sul grande dramma socio-economico che sta vivendo un’intera categoria non sembra aver minimamente pesato il ruolo fondamentale svolto dal personale sanitario durante gli anni della pandemia. 

Eppure il conto da pagare è salatissimo, ed è arrivato da mesi sulle tavole di chi comanda. Ma poco sembra cambiare. Neanche dopo la pubblicazione dell’ultimo report sulla salute dei nostri infermieri, raccolto nello studio BENE (BEnessere degli Infermieri e staffiNg sicuro negli ospEdali) e realizzato dall’Università di Genova con il sostegno dalla Federazione nazionale degli infermieri (Fnopi).

L’allarme

«Gli infermieri che lavorano in ambito ospedaliero in Italia sono oltre 165mila. Lo studio ha coinvolto un campione statisticamente valido di età media pari a 42.1 anni, 73% di genere femminile, presenti nei reparti di degenza di 38 presìdi ospedalieri del Paese e si è svolto tra giugno 2022 e luglio 2023 con l’obiettivo di indagare le principali variabili che impattano sul benessere dei professionisti e la sicurezza delle cure», spiegano i responsabili dell’indagine. «In particolare dopo l’emergenza Covid-19. Perché il burnout degli infermieri si traduce in maggiori rischi per i pazienti».

I dati sono agghiaccianti: «L’esposizione a pazienti Covid-19 ha determinato un elevato livello di stress nel 46.4% degli infermieri. Il 38.3% ha dichiarato insoddisfazione lavorativa per svariati motivi: principalmente, a causa dello stipendio (77.9%) e della mancanza di opportunità di avanzamento professionale (65.2%). Il 43.4% ha descritto il proprio ambiente di lavoro come frenetico e caotico. Solo il 3.2% percepisce come “eccellente” la sicurezza del paziente nel proprio ospedale».

Grido d’aiuto


Ma non è tutto. La carenza di personale è il motivo prevalente delle cure mancate per la metà degli intervistati. «Il 59% ha riferito di discutere, con il team, strategie per evitare che gli errori si ripetano. Solo il 27,7% ha affermato che le azioni della direzione dimostrano la sicurezza del paziente come massima priorità».

Inoltre, indipendentemente dal turno di lavoro, «ogni infermiere assiste mediamente 8.1 pazienti contro uno standard indicato come ottimale di non più di 6».

In Europa, il personale infermieristico varia da 3.4 a 17.9 pazienti per infermiere e studi europei indicano che ogni paziente aggiuntivo per infermiere è associato a un aumento del 7% della mortalità a 30 giorni in ospedale e che i costi risparmiati superano il doppio del costo aggiuntivo per il personale infermieristico. 

Soluzioni 

Tra le azioni per ridurre il burnout e migliorare il benessere, gli infermieri coinvolti nello studio hanno indicato l’aumento dei livelli di organico infermieristico, permettere agli operatori sanitari di lavorare al massimo delle loro competenze professionali, migliorare la comunicazione del team.

«Le principali cinque “cure mancate” sono state la mobilizzazione del paziente (51.6%); lo sviluppo/aggiornamento dei piani assistenziali (51.4%); educazione al paziente/famiglia (50.6%); igiene orale (50.2%); comfort per il paziente (49%) e le cure mancate, intese come qualsiasi aspetto dell'assistenza richiesta al paziente che viene omesso o ritardato, sono strettamente correlate alla sicurezza dei pazienti e alla qualità dell'assistenza».

Appello

Annamaria Bagnasco, dipartimento di scienze della salute Università di Genova, coordinatrice dello studio BENE spiega: «Dopo 8 anni, non mi aspettavo la sovrapposizione così marcata dei dati - in termini di personale dello staff, ambiente di lavoro e cure mancate, quindi sicurezza dei pazienti - specialmente rispetto agli interventi organizzativi messi in atto con la pandemia nella riorganizzazione del lavoro. Una situazione - continua - che ha ripercussioni in cure mancate ed esiti clinici e ha un impatto sull’intenzione di lasciare il lavoro entro un anno che, nonostante le integrazioni di personale dovute alla pandemia non è migliorato. La sicurezza del paziente è garantita anche dalla stabilità degli staff con un malessere che si ripercuote sullo stato emotivo e burnout. Inoltre, c’è una correlazione anche sull’attrattività lavorativa. Il motivo che viene dichiarato è il personale insufficiente e la mancanza di tempo per erogare queste attività, ma il 98% degli intervistati dichiara di voler lavorare al massimo delle proprie competenze: è un elemento di consapevolezza, di desiderio di specializzare le competenze, di formazione».

© Riproduzione riservata