Quando si parla di calcio a 5 in Sardegna vengono in mente subito alcuni nomi: uno di questi è certamente quello di Diego Podda capace di scrivere la storia del futsal sardo prima da giocatore e ora da allenatore. Esordio nel calcio a 11 alla Gigi Riva, il passaggio ai giovanissimi del Cagliari e poi al La Palma prima di approdare al calcio a 5, ancora ragazzo, nella Delfino. Podda raccoglie taglia tanti traguardi all’interno del rettangolo di gioco con le maglie del Cagliari calcetto e Quartu 2000, fino al 2006 quando si sposta sulla panchina proprio del Cagliari, per dieci anni, del Basilea e negli ultimi otto anni tra FFC femminile e ora 360GG futsal.

Come è arrivato al calcio a 5 e quale è stata la persona decisiva per iniziare il percorso nel futsal?

«Arrivo al calcio a 5 da giovanissimo, dopo uno dei tanti tornei estivi mi venne proposto di far parte della Delfino che allora militava in serie A. Insieme a me lo chiesero anche a Massimo Fronteddu che fu l’apripista: io infatti lo seguii nella scelta un anno dopo».

Quali allenatori sono stati decisivi nella sua carriera anche per il suo futuro da mister?

«Ho avuto pochi allenatori. Peppe Stasio i primi due anni, giocatore-allenatore romano che portò in Sardegna una mentalità più “continentale”, per poi avere Gianni Melis come vera guida e mentore essendo stato il mio allenatore per quasi 15 anni. Da lui ho imparato tantissimo e sicuramente è stato lui a contagiarmi la “malattia” dell’allenatore. Per un solo anno ho avuto un allenatore spagnolo, Pepe Pardo, grandissimo conoscitore del futsal, personaggio particolare che mi ha fatto scoprire aspetti poco conosciuti, un modo diverso di allenare e interpretare il gioco».​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

Tra i compagni, chi l’ha impressionato maggiormente e perché?

«Nei primissimi anni sono stati i compagni sardi i miei riferimenti, Vito Ragno su tutti. Compagno carismatico, di grandissima personalità e capace di giocate incredibili a dispetto di una forma fisica alla quale non ha mai dedicato troppo tempo. Con il passare del tempo ho avuto la fortuna di giocare con tanti giocatori stranieri e direi che Junior è stato in assoluto quello più forte: un mago, un giocatore che per qualità tecniche credo possa essere considerato uno dei più forti giocatori visti in Italia».

Quali sono i successi e le esperienze fisse nella sua mente e nel suo cuore?

«Il primo gol in serie A, di testa: sembrava un sogno, ero giovane, giocavo poco, ma da lì partì tutto, iniziai a credere di poter far bene. Poi la vittoria ai campionati universitari, fui grande protagonista, una gran bella esperienza. Poi la promozione in serie A da giocatore dopo i tempi supplementari con il Cagliari calcetto nel 1998, ed il ritorno in campo dopo l’infortunio al ginocchio: gol su punizione che sbloccò un derby di campionato alla prima giornata».

Rimpianti?

«Non essere stato l’allenatore di me stesso: rido nel dirlo, ma lo penso perché le esperienze fatte da allenatore mi avrebbero permesso di essere un giocatore migliore».

Cosa pensa sia mancato nella sua formazione e che invece troverebbe adesso?

«Il futsal italiano si è evoluto tantissimo con l’avvento dei tanti giocatori e di diversi allenatori stranieri. Si è andati verso una maggiore specificità, abbandonando i campi all’aperto, perfezionando la formazione tecnico-tattica e fisica, la disciplina ha trovato una sua identità. Un’esperienza fuori dalla Sardegna, qualche allenatore in più, mi avrebbero permesso di vivere esperienze diverse che mi sarebbero tornate utili».

Perché poi è diventato allenatore? Se lo sentiva?

«Ho sempre pensato da allenatore anche quando giocavo. Non mi sono mai accontentato di vivere l’allenamento o la partita solo dal mio punto di vista. Sono sempre stato curioso, mi chiedevo del perché di tutto. Ho preso l’abilitazione come allenatore da giovanissimo: allenare mi piace, mi stimola, mi gratifica, credo sia la cosa che mi riesce meglio».

Chi l’ha spinta a seguire questa strada?

«Nessuno in particolare, credo fosse la mia indole. Poi Gianni Melis mi ha trasferito un modo di vivere da allenatore che mi ha contagiato, quasi una piacevole ossessione nei confronti del ruolo».

L’annata che resterà indelebile?

«La promozione in serie A con il Cagliari nel 2008 al mio secondo anno in panchina e quella scorsa con il 360GG Futsal sempre in A1 e il ritorno nella massima categoria che avevo come obiettivo fisso».

Le maggiori difficoltà che si incontrano nel ruolo di allenatore?

«Riuscire a pensare a tutti, trovare il modo per far coesistere 15 persone diverse, facendo di tutto per esaltarne le qualità, migliorare i difetti, sempre considerando ogni individuo. Non è facile accontentare tutti, ma bisogna sempre trovare il modo per far sentire importante ogni giocatore, attraverso una credibilità che l’allenatore deve conquistarsi in ogni momento».

I giovani e il calcio a 5: quali sono le difficoltà nel portare i ragazzi al futsal?

«La difficoltà sta nel fatto che non si fa abbastanza per far conoscere l’importanza che il futsal può avere nella formazione tecnico tattica di un giovane calciatore. Se si partisse da questo sarebbe meno complicato perché la scelta di orientarsi verso il calcio a 5 se il calcio a 11 non offre grandi possibilità, potrebbe essere naturale. Il futsal ha tanti pro, tanti perché, bisogna essere in grado di esaltarli: in questo si hanno dei limiti».

È possibile anche in Italia un “gemellaggio” tra futsal e calcio a 11 nella formazione dei giovani?

«È la cosa nella quale credo di più, è il progetto che con la mia società portiamo avanti. Ci vuole pazienza, costanza, competenze, ma secondo me è la combinazione migliore per entrambe le discipline, si completerebbero a vicenda, sarebbero una la risorsa dell’altra. Spero fra qualche anno di poterlo dimostrare».

La recente riforma nel calcio a 5 le piace?

«Mi piace il fine, lo condivido. Condivido un po’ meno i contenuti, gli sviluppi, i mancati adeguamenti e soprattutto non mi piace che non si vada a toccare il vero punto dolente del futsal italiano: la mancanza di settori giovanili strutturati. I giocatori di calcio a 5 mancano perché non vengono formati e se si fosse consapevoli di questo si imporrebbe la formazione e non l’obbligo di utilizzare giocatori italiani».

Quanto sono stati importanti e quanto lo sono anche oggi gli stranieri nel futsal, soprattutto in Sardegna?

«​​​​​​​Tantissimo. I giocatori stranieri sono fondamentali, lo sono stati e lo saranno. Lo straniero ti mostra cose diverse, culture diverse, scuole diverse e non c’è modo migliore per crescere se non attraverso il confronto con altri mondi. Se poi pensiamo che Brasile e Spagna sono sempre stati avanti, come si fa a negare che i giocatori stranieri hanno migliorato i giocatori e gli allenatori italiani? Faccio un esempio di qualcosa che ho vissuto personalmente: Adriano Salomao, primo straniero in Sardegna ci mostrò come passare diversamente la palla: sembra assurdo ma non lo è».

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