Insegnate al nonno, e alla nonna, a usare il personal computer. Oppure non attendeteli per pranzo, perché se sono andati al Comune o all’Asl non li vedrete arrivare in tempo: dopo l’indesiderata e indesiderabile “tregua” offerta dal Covid, le file nei sempre più scadenti uffici pubblici sono riprese ai ritmi del periodo pre-pandemia.

A fare la spia è chi da anni ci osserva da vicino: il Centro studi dell’Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, più nota come Cgia, che ricava statistiche e compara le rilevazioni ufficiali eseguite nel nostro Paese. E da quel Centro studi ci fanno sapere che, da quando abbiamo ripreso a frequentare gli uffici pubblici, i tempi d’attesa agli sportelli hanno ricominciato ad aumentare. I livelli di produttiva delle amministrazioni pubbliche, insomma, sono ancora sottosoglia rispetto al periodo che ha preceduto l’arrivo della pandemia.

Siamo dunque tornati negli uffici pubblici, i quali però non hanno affatto recuperato una performance ottimale da quando l’emergenza Covid è terminata. Le rilevazioni della Cgia di Mestre sono chiarissime: nelle Asl e nei Comuni, soprattutto nel Sud Italia, le code agli sportelli sono tornate ad allungarsi e ad aspettare di più sono le persone anziane.

Ecco perché dobbiamo insegnare ai nonni come usare i computer: perché sono proprio gli over 64, che non sanno districarsi con l’informatica, a patire di più i rallentamenti della pubblica amministrazione. Insomma, sono in primo luogo gli anziani a restare a lungo in attesa, in piedi e più raramente seduti, del proprio turno allo sportello dell’Asl o dell’Anagrafe comunale. Chi ha conoscenze informatiche, soprattutto da quando esistono la Cie e lo Spid (i sistemi per certificare l’identità digitale e consentono di operare nei siti della pubblica amministrazione come se si fosse allo sportello), in coda negli uffici pubblici non va quasi più: fa tutto al pc e con lo smartphone, lasciando ai nonni il “gusto” di rimanere in fila in un settore – quello pubblico, appunto – che manda molto in pensione e assume assai di meno. E così gli organici del personale sono sempre più risicati, il che fa aumentare i tempi di attesa in coda e anche dopo la coda, per ricevere le prestazioni e i documenti richiesti.

Ovvio che i tempi d’attesa nel 2020 e l’anno successivo, cioè quelli del Covid che uccideva tanti italiani ogni giorno, si fossero contratti: quasi tutti gli sportelli dei comuni “front office” lavoravano solo su appuntamento, mentre negli ospedali gli ingressi erano contingentati e quindi diminuiva la presenza di persone. Dal Covid, gli ospedali hanno anche imparato un’altra lezione: potenziando i call center telefonici e i servizi resi sul sito internet, sono riusciti a ridurre ulteriormente l’afflusso di cittadini ai propri sportelli, e questo vantaggio è rimasto anche dopo che l’emergenza sanitaria si è conclusa.

Tra il 2021, nel pieno della crisi pandemica, e il 2023 (il primo post Covid), gli afflussi di persone nelle Asl sono aumentati del 12,9% (2.246.000 persone), mentre quelle in attesa da oltre venti minuti sono cresciuti del 24,4% (1.926.000). Nello stesso periodo, se spostiamo l’attenzione sull’ufficio Anagrafe del proprio Comune, c’è stato un maggiore afflusso del 13,4% (1.976.000 in più), e ad aspettare per più di venti minuti è stato il 14,1% (+553.000). Tirando le somme: nel 2023, rispetto a due anni prima, tra tutti i cittadini che sono andati in uno sportello pubblico e hanno atteso oltre venti minuti, quasi due milioni e mezzo (il 17,3%) hanno visto allungarsi ulteriormente i tempi.

A chi assegnare la “maglia nera” per i tempi d’attesa più lunghi? Senz’altro alla Sicilia, indica la Cgia di Mestre, dove il 68,4% dei cittadini dichiara di aver atteso più di venti minuti. Seguono le Asl del Molise (67,2%), della Campania (65,8%) e della Basilicata (65%). I maggiori aumenti di persone in fila sono stati invece nelle Asl di Abruzzo (11 persone in più), Veneto e Basilicata (10) e Sardegna (9). E ad aspettare sono soprattutto gli over 64.

Per quanto riguarda gli uffici Anagrafe dei Comuni, le file più lente sono state registrate nel Lazio: venti minuti non bastano nel 44,1% dei casi. Poi la Sicilia con il 43,3%, la Puglia con il 34,7%, la Calabria con il 33,5% e la Campania con il 32,3%. La Sardegna è ottava in questa classifica in cui converrebbe essere ultimi.

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