Il 24 febbraio la Corte di Cassazione deciderà sul ricorso contro il regime carcerario del 41 bis presentato dalla difesa di Alfredo Cospito, l’anarchico che sconta vent’anni per un attentato contro una caserma dei carabinieri che solo per un caso non fece vittime, dopo una condanna ad altri dieci per il ferimento di un dirigente dell’Ansaldo.
Il procuratore generale ha depositato la requisitoria scritta: chiede l’annullamento con rinvio dell’ordinanza con cui il Tribunale di sorveglianza di Roma lo scorso primo dicembre aveva respinto il reclamo che contestava il cosiddetto carcere duro. Il pg Luigi Salvato analizza la vicenda prima di argomentare intorno alla questione che dovrebbe portare alla revoca del 41 bis per Cospito per carenza di motivazione.

«È opportuno, se non addirittura doveroso, considerato il clamore mediatico che accompagna la vicenda processuale, con il connesso rischio che ne sia offuscato l’autentico orizzonte decisorio, rammentare alcune fondamentali coordinate ermeneutiche che tracciano il perimetro entro cui collocare l’esame dell’impugnazione», scrive il pg. Che, innanzitutto, ricorda «il consolidato principio secondo cui il controllo svolto dal Tribunale di sorveglianza sia sul decreto di applicazione che su quello di proroga del regime di detenzione differenziato non è limitato ai profili di violazione della legge ma si estende alla motivazione e alla sussistenza, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, dei requisiti della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza. Principio questo che si fonda sull’indefettibile presupposto che ogni decreto applicativo o di proroga sia dotato di congrua e propria motivazione in ordine alla sussistenza o persistenza dei presupposti per la sottoposizione al regime detentivo differenziato. Il delicato bilanciamento tra tutela dell’ordine e della sicurezza e rispetto dei diritti insopprimibili del detenuto – a scapito, altrimenti, della dissoluzione della stessa funzione rieducativa della pena – pone comunque, quale elemento centrale, il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità. Ciò, se per un verso vale a impedire che l’ordinamento giuridico possa concepire una perpetuazione automatica della compressione dei diritti del condannato in espiazione di pena, disposta al di fuori del vaglio giudiziale, esige per altro verso che quest’ultimo sia davvero ancorato alla situazione personale concreta del detenuto e alla reale e attuale pericolosità sociale, nella sua forma specifica della capacità di mantenere collegamenti con le associazioni criminali di appartenenza».

Dunque, il pericolo che il detenuto possa avere contatti con l’organizzazione criminale di cui faceva parte prima dell’arresto devono essere concreti e attuali, cioè riferibili al momento in cui si decide. Per Cospito: ora.

«La peculiarità del regime detentivo speciale esige, in breve, un profilo di accertamento, quello del perdurante collegamento associativo del condannato che evidentemente evade dal giudicato di condanna e che riguarda il segmento temporale successivo, quello dell’esecuzione della pena, in una valutazione che è dinamica, e, per certi aspetti, prognostica. Essendo fuori di dubbio che l’accertamento sia rivolto alla persistenza della capacità del condannato di tenere contatti con l’associazione di riferimento, non tanto verso l’effettivo mantenimento di tali relazioni. (…) La valutazione dovrà essere ancorata a elementi concreti e attuali».

E allora, secondo il pg Salvato, «occorrerà in sintesi verificare – in relazione alla natura dei fatti per i quali ha riportato condanna irrevocabile e al ruolo svolto nell’ambito dell’organizzazione - la perdurante operatività nel territorio d’influenza della stessa associazione; la mancata emersione di indici di dissociazione o resipiscenza; la sussistenza del concreto pericolo di una ripresa dei contatti del detenuto con gli esponenti liberi dell’organizzazione e della possibilità che, ammesso al regime ordinario, possa impartire ordini, determinare o suggerire il compimento di ulteriori azioni criminose».

A questo punto il procuratore generale presso la Cassazione entra nel merito dei fatti. «Risultano fondate le censure difensive che denunciano apparenza della motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla dimostrazione dei collegamenti di Cospito con l’organizzazione criminale di appartenenza, e ciò pur nella piena consapevolezza della estrema delicatezza e difficoltà del crinale che il Tribunale di sorveglianza era chiamato ad attraversare in un’ipotesi ermeneutica del tutto inedita, e quasi di confine, di possibile applicazione del regime detentivo speciale. L’ordinanza impugnata affronta tale profilo nell’ultimo segmento della motivazione».

Tre gli argomenti riportati in dicembre a sostegno del 41 bis per Cospito: le dichiarazioni di appartenenza al Fai (federazione anarchica informale) rinnovati nei processi; i documenti scritti durante la detenzione e destinati ai compagni anarchici in libertà; il ruolo verticistico ricoperto e la circostanza che sia le diverse condanne riportate da Cospito per istigazione a delinquere in relazione ai suo iscritti che le censure cui il detenuto è stato sottoposto in carcere non gli hanno impedito di porsi come punto di riferimento per i sodali liberi e di indicare loro le linee programmatiche e gli obiettivi da colpire. Però ,secondo il pg, «nessuno di tali snodi argomentativi pare compendiare un effettivo discorso giustificativo in ordine alla dimostrazione dei collegamenti di Cospito con l’organizzazione criminale di appartenenza o, quantomeno, del concreto pericolo di essi (…). La motivazione non pare essersi effettivamente confrontata con elementi potenzialmente decisivi segnalati dalla difesa che, se considerati, singolarmente o nella loro globalità, avrebbero potuto anche determinare un esito opposto del giudizio».

Il che equivale a dire che una valutazione di questi elementi porterebbe alla revoca del 41 bis.

A questo proposito il pg sottolinea nella requisitoria scritta che Cospito non è ma stato sottoposto ad alcun provvedimento di censura della corrispondenza fin dal 17 novembre 2017. “Il punto merita un chiarimento (…). Questo è importante perché un caposaldo argomentativo enunciato dal Tribunale è dato, appunto, dalla constatata inutilità di un intervento limitativo già sperimentato, cosicché la non corrispondenza di tale presupposto disarticola l’intero ragionamento».

Quindi il magistrato si sofferma sugli scritti dal carcere, considerati dal Tribunale di sorveglianza «prova esaustiva della sua capacità di collegamento con i sodali esterni dell’associazione. Quegli scritti sono di sicura e grave valenza istigatrice ma non è questo quello che qui rileva. Piuttosto le censure difensive erano volte alla verifica del collegamento funzionale tra prescrizioni imposte e tutela delle esigenze di ordine e sicurezza (…). Ci si chiede se gli scritti in questione, al di là del loro proselitismo verso forme estreme per azioni esemplari, distruttive e meno simboliche contro uomini e donne al servizio del potere, al di là dell’invito allo scontro armi in pugno con il sistema, al di là della rivendicazione e del vanto di aver colpito nella carne viva uno dei maggiori responsabili del nucleare in Italia e dell’approvazione di azioni contro strutture del potere, recassero direttive criminose per la determinazione a specifiche condotte criminose degli adepti esterni all’associazione. Detto altrimenti: emerge nella motivazione dell’ordinanza impugnata una carenza di fattualità in ordine ai momenti di collegamento con l’associazione, che lascia sopravvivere la stigmatizzazione difensiva secondo cui la condizione interclusiva speciale fosse giustificata solo dalla necessità di contenimento dell’estremismo ideologico. Orbene, la verifica di tale punto essenziale non traspare nella motivazione».

Il pg insiste su questo punto: «Il regime carcerario speciale del 41 bis non può giustificare la rarefazione e la compressione di altre libertà inframurarie se non con l’impedimento di contatti e collegamenti concretamente prodromici o specificamente finalizzati o casualmente orientati ad altri specifici fatti. Tutto questo non è dato riscontrare nel provvedimento impugnato».

Ecco perché, riscontrata la carenza di motivazione, il pg sollecita l’annullamento dell’ordinanza del primo dicembre 2022 con rinvio per un nuovo esame.

© Riproduzione riservata