Boelle Ciceri e i fantasmi de “Il giorno del giudizio”
Farmacista e fotografo, con i suoi scatti riporta in vita i tanti personaggi (compreso se stesso) raccontati nel romanzo di Salvatore SattaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
È stato il fotografo che ha dato un volto ai tanti personaggi della Nuoro raccontata da Salvatore Satta. L’universo che Raffaele Ciceri aveva portato con sé nella tomba. Le sue foto, più delle immagini raccolte da Sebastiano Guiso, Pietro Pirari, Antonio Ballero e Sebastiano Satta, restituiscono carne e anima alla commedia umana de “Il giorno del giudizio” e proiettano il lettore nelle faccende della città del primo Novecento, allora un paese di settemila anime diviso nei rioni di Santu Predu e Seuna, e dove l’unico palcoscenico che dava ai nuoresi la licenza di esistenza in vita era il Corso Garibaldi, dov’era il Municipio, i palazzi delle famiglie in vista, la piazza del mercato, i negozi, l’attraversamento per il tribunale e per il carcere, la passerella per la cattedrale. E il Caffè Tettamanzi.
Nel cinquantenario della morte di Salvatore Satta, autore de “Il giorno del giudizio” – romanzo che sedimenta nel cuore del lettore allo stesso modo dei grandi classici della letteratura - è giusto ricordare l’uomo che, pur senza questo intento, ci ha regalato una sorta di documentazione fotografica delle storie e dei personaggi raccontati in quelle pagine. Lui stesso, farmacista in Corso Garibaldi e animatore del Caffè Tettamanzi, in quelle stesse pagine vi si aggira in prima persona.
Nato a Nuoro nell’aprile del 1870, figlio di Pasquale Ciceri, ricco commerciante di legname e carbone originario di Como, si ritrovò col suo nome (Rafaelino) inciso sulla lapide della tomba della madre, Raffaela De Bernardi, morta nel darlo alla luce. Dev’essere stato per via di questa pubblicità indesiderata che per tutta la vita se ne restò appostato dietro la macchina fotografica, osservando e documentando come un cronista di strada il mondo che lo circondava. Studiò a Cagliari, dove appunto aveva scoperto la fotografia e imparato la manipolazione degli acidi, e a soli 18 anni si ritrovò ricco sfondato, poiché unico erede della fortuna del padre, morto in un tragico incidente durante l’imbarco di un carico di carbone. Rientrò a Nuoro negli ultimi anni dell’800 e diventò socio di Tommaso Floris, anziano titolare della farmacia che si affacciava sulla parte alta del Corso Garibaldi; una società che era durata appena qualche anno, fino al 1905, quando, alla morte di Floris, Raffaele Ciceri acquistò l’attività.
Al lavoro nella farmacia alternava con maggiore vocazione le chiacchiere con gli amici davanti al negozio, gli spuntini e gli incontri galanti, i viaggi e le battute di caccia, le serate alcoliche con tutta l’allegra brigata del Caffè Tettamanzi e le escursioni alla ricerca di volti, cerimonie, paesaggi da catturare con la sua macchina fotografica. Un uomo con un’unica missione: godersi la vita. «Ha corso la cavallina da giovane e ora la paga», sentenziarono quelli del Caffè Tettamanzi (così riferisce Satta) quando la salute di Boelle Ciceri cominciò a peggiorare.
E pensare che Ciceri, morto nel 1921 a cinquantuno anni dopo una vita da scapolo raffinato e giramondo, si era organizzato per portare tutto con sé. Quando si accorse del tremolio delle sue mani, ci riferisce Salvatore Satta, «avvertì che la sua vita volgeva alla fine» e si rivolse al notaio per dettare il suo testamento. Destinò i beni all’ospedale civile e avvisò che al suo funerale non voleva né preti né croci. «Non c’era da beneficare nulla e nessuno, si trattava solo di sparire, con la stessa indifferenza con la quale un giorno remoto era apparso».
Ha lasciato decine di immagini e stampe, un patrimonio preziosissimo raccolto in una pila di scatole che, nel 2008, il giornalista Agostino Murgia ha donato all’Isre, l’Istituto regionale etnografico: 309 lastre stereoscopiche e fotografiche, un visore e una Verascope Richard, una macchina di produzione francese piccola e leggera che permetteva di scattare agevolmente senza l’uso del cavalletto.
Tutto ciò che aveva accompagnato il suo sguardo sul mondo, compresa quella umana commedia consegnata all’eternità. I signori (tra i quali Sebastiano Satta e Antonio Ballero) che frequentavano il Caffè Tettamanzi e la sua farmacia; le contadine di Oliena che vendevano la frutta al mercato di piazza Cavallotti; i cortei nuziali; le serve bambine; i ragazzini scalzi; gli orgolesi in catene condotti in tribunale dai carabinieri. Nuoro, e gli scatti fatti a Orani, a Oliena, in Baronia. A Cagliari, a Roma, Firenze, Milano, Genova. E in Tunisia. Andava lontano, il farmacista fotografo, e ogni volta tornava nel suo mondo.