Non sono organizzatissimi, ma si sa: spesso il dilettantismo trova un grandissimo alleato nell’entusiasmo. E così la protesta degli autotrasportatori sardi, e delle aziende che sono loro committenti, sta riscuotendo successo a un livello che forse nemmeno gli stessi autisti speravano, complice il fatto di aver anticipato nei tempi la protesta nazionale. Lo apprendono “a proprie spese” i loro colleghi che giungono nei porti sardi da quelli della Penisola, i quali spesso ignorano l’anticipo sardo del blocco deliberato a livello nazionale e restano “intrappolati” ai varchi: gli autotrasportatori isolani non impediscono il passaggio, ma lo rallentano moltissimo, e così lasciare lo scalo dopo l’arrivo può richiedere anche diverse ore. E questo accade all’arrivo di ogni cargo e di ogni traghetto passeggeri sul quale, come sempre, viaggiano anche le merci.

La protesta senza sigle funziona. Miracoli di Telegram e dei gruppi che, nelle applicazioni di messaggistica per smartphone, si possono creare facilmente includendo tantissime persone. Un discorso ancor più vero all’interno di singole categorie, dove ogni appartenente “invita” a partecipare al gruppo di messaggi i colleghi che conosce e, nel giro di poche ore, si raggiungono tutti o quasi. Come si usa dire, la protesta nasce e si sviluppa perché diventa “virale”. D’altra parte, anche nel conflitto in Ucraina l’app si sta rivelando importante per coordinare le iniziative di difesa della popolazione del Paese invaso dai russi.

Un raduno a Tramatza per vedersi in faccia, e poi via con la protesta che non ha un centro, proprio come del resto prevede la struttura stessa di Internet, bensì diversi nodi. Due porti presidiati a Cagliari (c’è anche il Porto canale), autotrasportatori presenti ai varchi di quelli di Olbia e Porto Torres e un rigido “disciplinare” che ha due obiettivi: evitare denunce e anche di attirare l’antipatia dei cittadini con blocchi che, sommati ai rincari del tutto fuori logica dei carburanti che colpiscono non solo gli autotrasportatori ma anche le famiglie, diventano una pena accessoria per i cittadini alle prese con i rincari. Perché è avvenuto, sta avvenendo, ciò che è del tutto ovvio: siccome quasi tutto ciò che è in vendita si trasporta, l’impennata del gasolio mediamente a 2,35 euro al litro – solo a novembre la quotazione era di 1,50 euro – incide sul prezzo al pubblico di tutto ciò che finisce nelle nostre case.

Il prefetto di Cagliari, Gianfranco Tomao, ha ricevuto i conducenti e i titolari delle aziende di autotrasporto. E anche questo punto, considerato che solitamente chi guida e chi ha la proprietà della motrice del tir sono controparte, è una novità figlia dell’esasperazione degli animi. Perché le aziende dell’autotrasporto, ora che il prezzo del gasolio e alle stelle grazie al pretesto del conflitto russo-ucraino, non hanno più un margine di guadagno e i “padroncini”, cioè chi ha comprato una motrice per autoarticolato e lavora per conto delle aziende, non possono aumentare il prezzo del servizio. «Facciamo la consegna, ma a noi non resta più niente», è la frase che si sente da ogni autotrasportatore (titolare, padroncino o autista dipendente che sia), ed è per questo motivo che fermare le motrici per protestare o tenerle in movimento per lavorare alla fine, quando si fanno i conti, non hanno grandi differenze.

La Digos, sempre presente alle manifestazioni, semplicemente osserva senza intervenire, perché la protesta non provoca blocchi stradali ma solo rallentamenti: sulla Carlo Felice, un po’ in tutta la Sardegna, i mezzi dell’autotrasporto abbassano la media di velocità di chi la percorre, ma senza fermarlo. E anche gli autotrasportatori della Penisola che giungono in Sardegna non sono bloccati alle uscite del porto: i colleghi rallentano notevolmente la loro uscita dagli scali, ma alla fine escono.

Il Coordinamento trasporti sardi che include conducenti e imprenditori, senza capi, senza legami con sigle sindacali o di organizzazioni di categoria, si è dimostrato estremamente efficace come di rado avviene nelle proteste che non sono organizzate da chi lo fa abitualmente. E anche la “disciplina”, che consiste nel cercare la solidarietà della gente invece che “punirla” per gli aumenti dei prezzi del carburante che colpiscono tutti direttamente e “a cascata” sui prezzi dei beni, in questi primi giorni di protesta continua a tenere. Non a caso, il prefetto cagliaritano ha chiesto ai manifestanti di proseguire le proprie iniziative di protesta a oltranza nel rispetto delle regole di civiltà, come finora è avvenuto, in questa battaglia di “resistenza in vita” di una categoria (imprenditori e autotrasportatori) che fa i conti con mezzi per i quali un litro di gasolio non basta nemmeno per percorrere tre chilometri. E che non sono più in grado di onorare i contratti già siglati con i committenti perché, ogni tre chilometri, il carburante costa 85 centesimi in più. Con la speculazione sui carburanti da parte delle compagnie petrolifere è nata tra autotrasporto e gente una variante del proverbio: dice “mors tua, mors mea”.

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