Aspettando il Carnevale: nell’era del Covid restano i ricordi nostalgici
Le maschere di Cagliari, tra panetteras, sa fiùda e su caddemis
A quest'ora, in altri tempi, il costume di Carnevale era già pronto per essere indossato. Le sarte erano in prima linea per la festa e molto richieste, le loro mani preziose tagliavano i modelli sui quali cucivano l'abito carnevalesco del momento. Altrimenti erano le mamme, le nonne o le zie con un po' di esperienza che confezionavano le maschere per la sfilata di febbraio, dal pagliaccio alla damina dell'Ottocento. Non era di moda, come adesso, noleggiare un costume in un negozio e impegnarsi nella spesa da affrontare. Nell'armadio stagionale delle famiglie c'era l'abito in maschera per tutti i figli: la contadinella, la spagnola, il diavolo, pierrot, arlecchino e chi più ne ha ne metta. Tante venivano ideate nei teatri dei burattini o inventate lì per lì, magari per fare il verso a un personaggio, spesso un politico, abitudine attorno alla quale è fiorito un bel business di maschere con i volti più popolari.
Ora, al di là del Covid, non c’è più quell'area di festa che invece avvolgeva febbraio negli anni '80 e '90, quando ancora in Sardegna era forte lo spirito del Carnevale. Il fascino e la magia coinvolgeva le folle, chi per strada e chi affacciato da un balcone nelle vie del centro. Atmosfera che i bambini di oggi non respirano più come i loro coetanei d ieri, quando i balli in maschera erano l'occasione per fare baldoria, scherzi, per divertirsi. In questi anni di pandemia si sente la mancanza delle sfilate, perlomeno di quelle sontuose organizzate in pompa magna. Ancora non se ne parla quest’anno e, indubbiamente, non è il primo pensiero che passa per la testa delle famiglie. Pazienza, tocca far buon viso a cattiva sorte persino a Rio, dove il Carnevale 2022 slitterà ad aprile, mentre Venezia ha già deciso di mettere al bando lo sfarzo di luci che l'ha resa magica agli occhi del mondo.
I ricordi restano
I nostalgici amano raccontare com'era un tempo, sfogliando le pagine di storia scritte sulla ricorrenza più festosa e spensierata dell'anno. Un rito che finiva in baldoria, prima della Quaresima, con tanto di sfilata sulle vie cittadine il giovedì grasso (quest'anno cadrà il 24 febbraio). E poi di nuovo il martedì grasso (1 marzo) che è quello che precede il mercoledì delle ceneri (2 marzo), il giorno che segna l’inizio di preparazione alla Pasqua per i cristiani. Fine dei banchetti con carne e zeppole a volontà, si entra nei giorni del digiuno quaresimale. Un rito che risale a 4mila anni fa, e già gli egizi celebravano il Carnevale in onore di Iside, dea della fertilità dei campi, simbolo della vita che si rinnova. Fin da allora si usava truccarsi viso e corpo, ridere faceva bene all'anima e allontanava gli spiriti maligni.
Carnevale cagliaritano
Anche Cagliari ha il suo Carrasciali Casteddaju. La città, devastata dai bombardamenti del '43, dopo la guerra aveva bisogno di svagarsi, rianimarsi e riunire l'intera comunità. Così racconta Francesco Alziator, sulle pagine dell'Almanacco di Cagliari (edito da Vittorio Scano) del 1972: «Carnevale, tra il finire del secolo scorso e l'iniziare del nostro, quando spenta anche l'ultima eco delle guerre d'Indipendenza e delle follie africane, l'Italia cercava di vivere in pace, nonostante la Triplice e la concorrenza francese in Tunisia». In «una Cagliari peccaminosa e promettente, anche il popolaccio, la borghesiaccia e l'aristocrazia già sull'orlo del fallimento, dovevano trovare il loro incandescente sfogo annuale prima dell'oscuramento della Quaresima». I tempi sono cambiati e, in quelli più recenti, a mantenere vivo il Carnevale è stata la Società di Sant'Anna, nata nel 1972 tra Castello e Stampace, poi confluita nella Gioc (Gioventù italiana operaia cattolica), associazione che nella chiesa di Santa Restituta ha creato il suo regno storico. Alla Gioc si unirono man mano vari gruppi, come il Dopolavoro ferroviario, la Gruc di Castello e il Villaggio pescatori di Giorgino. Il declino inizia negli anni Duemila finché, nel 2008, la Curia si riappropria della sua chiesa: non è uno scherzo, la Gioc viene sfrattata e allora addio Carnevale. A ripristinarlo quasi dieci anni dopo sono stati i fondatori della Sa Ratantira casteddaia, quelli che facevano festa con la marcia a suon di tamburi, piatti e grancasse (“Cambara, cambara, cambara e macioni/ pisci urrè, sparedda e mumungioni” dal noto motivetto cantato in lingua sarda per le vie della città), simbolo del Carnevale cagliaritano.
Molto diverso dal passato, quando le maschere tipiche erano le “panetteras” che portavano in piazza tutte le magagne cittadine, is tiaulus - travestimento da diavolo de is piccioccus de crobi – e tutta una varietà di costumi con i quali si impersonavano i personaggi più bizzarri della vita quotidiana della vecchia Cagliari, da sa fiùda, la vedova inconsolabile, a su caddemis, il mendicante. Alziator ricorda le maschere più curiose: «Da quella del pezzente - su caddemis - al dottore, al matto, al silenzioso mangiala figu, ai pescatori a sa fiùda, la vedova inconsolabile,e ai più diversi e impensati travestimenti».
L’antico rito
Negli ultimi decenni dell'Ottocento, Cagliari celebrava già il suo Carnevale con la folle corsa dei cavalli nella contrada di San Michele, ora via Azuni: molto spesso ci scappava anche il morto tra i cavalieri e gli spettatori - ricorda Alziator - ma nonostante ciò la corsa di San Michele rimase per generazioni e generazioni il simbolo del Carnevale cagliaritano. Assieme alle rantantiras, «mascherate di massa che percorrevano l'intera città al suono ritmico di tamburi, piatti e, in mancanza di meglio, latte e bidoni percossi a non finire a tempo di marcia». Ricordi del passato che confermano ciò che già si sapeva: il Carnevale non muore mai, finisce col rogo di Canciofalli in piazza Yenne ma poi ne inizia un altro. Cagliari ha il suo e così tutta la Sardegna. Chissà cosa si farà quest'anno. L’auspicio è che sul rogo stavolta finisca questa maledetta pandemia.