Fine settembre, Cagliari. Serve un volo per Milano. Famiglia di tre persone residente in Sardegna, viaggio da programmare per giovedì in vista di un appuntamento l’indomani mattina nel capoluogo lombardo. Non si può rischiare di arrivare in ritardo, meglio partire con una notte d’anticipo. Ma la pianificazione deve prendere forma assai prima, anche se sei opzioni di volo da Elmas a Linate sembrano sufficienti per trovare una soluzione adeguata. I collegamenti giornalieri in continuità non mancano, almeno così dovrebbe essere. In realtà la schermata sulla disponibilità dei voli già dal sabato prima del giovedì del viaggio (quindi cinque giorni) dice che le possibilità si sono già ridotte a tre: due voli di mattina, alle 6.40 o alle 11, uno alle 19.50. Per quasi nove ore il vuoto, gli aerei del pomeriggio sono già pieni. C’è almeno l’ultimo volo, è meglio di niente. Chi vive in un’Isola deve accontentarsi. Ma è puntuale il nuovo ostacolo: non ci sono tre posti, la disponibilità si ferma a due. Anche questo aereo è pressoché pieno. Un’occhiata veloce per cercare vie alternative: Bergamo o Malpensa, voli low cost, due compagnie diverse. Ma la fine è nota: il giorno del viaggio è troppo vicino, i costi dei biglietti schizzano alle stelle. Prezzi abbondantemente a tre cifre solo per una tratta, di scegliere gli orari non se ne parla. I voli sono quelli, le tariffe pure. Prendere o lasciare. Peraltro ci sono da aggiungere il tempo in più e la spesa per il collegamento in bus o in treno per Milano. Viene voglia di buttare via lo smartphone, lasciar perdere. Ma nel capoluogo lombardo c’è un appuntamento obbligato, bisogna tornare ai biglietti dei collegamenti in continuità: almeno quelli hanno un prezzo accettabile. Settantacinque euro per andare, ottantacinque per tornare, senza tagiola sui bagagli o sui cambi di programma in extremis. Il rischio di vedere sfumare anche i voli del mattino è concreto. Si parte alle 11, un giorno intero prima di quando serve: salta una giornata di lavoro, si salta anche la scuola. Non ci sono altre possibilità.

Troppe incertezze

Vengono i dubbi: forse sarebbe stato meglio puntare su una programmazione migliore. Se abiti in un’Isola non puoi decidere all’ultimo. Se si vuole superare il mare per arrivare nel resto d’Italia, bisogna essere previdenti. Ma cinque giorni prima non è l’ultimo momento: chi sale in auto, su un treno o su un bus nella Penisola non decide cinque giorni prima, può farlo liberamente senza troppi pensieri perché per lei o lui la continuità territoriale è una cosa acquisita. Di più: scontata. È scontato avere il diritto alla mobilità nello stesso Paese in cui si rispettano le medesime leggi, si pagano le stesse tasse e si dovrebbero avere gli stessi servizi. Una realtà ai confini con la demagogia che lascia l’amaro in bocca perché non si sa come comportarsi.

A volte va bene

Per il rientro (di sabato) va meglio: ci sono solo tre possibilità di volo ma si trova quella giusta a metà pomeriggio, per fortuna non troppo ricercata. Va male a chi deve viaggiare di prima mattina perché non c’è posto. È una roulette, puoi vincere, puoi perdere. Un gioco d’azzardo lontano settecento chilometri (come Milano da Cagliari) da una continuità territoriale reale e compiuta. Senza dimenticare l’incognita dei ritardi, la possibilità che un volo possa slittare di diversi minuti se non di ore è sempre dietro l’angolo. Questione di fortuna o meno, cioè la solita scommessa. Questa volta fila tutto liscio su entrambi i voli: tempi giusti, anche se gli aerei sono pieni e gli imbarchi non troppo semplici, il viaggio procede senza intoppi come dovrebbe essere sempre. 

Prinicipio di insularità

Da tre anni esiste formalmente il principio di insularità. L’articolo 119 della Costituzione dice che “la Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità”. Una conquista che dovrebbe difenderti, dovrebbe assicurarti il diritto alla mobilità degli altri italiani ma purtroppo quel riconoscimento si è perso nei cassetti del Parlamento: non è stata fatta alcuna legge applicativa, nessun provvedimento efficace per riflettere nella realtà pratica la cornice dell’enunciato costituzionale. La Sardegna era lontana e lontana è rimasta: c’è la speranza che il nuovo bando della continuità all’orizzonte (l’anno prossimo) possa migliorare la situazione, anche se i modelli degli ultimi vent’anni non aiutano a lasciarsi andare a troppo ottimismo. Almeno i cugini siciliani (che si sono battuti insieme ai sardi per il riconoscimento dell’insularità) possono accarezzare il progetto del ponte sullo Stretto. Vabbè, per ora siamo nel campo dei sogni: l’infrastruttura che avrà la campata unica più grande del mondo è poco oltre il miraggio. Scilla e Cariddi vedranno passare ancora tanta acqua, la stessa che tiene la Sardegna lontanissima dalla Penisola.

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