«Non c’è stato alcun tradimento degli algheresi nei confronti di Carles Puigdemont. Qualunque persona sensata lo capisce da sé». Carlo Sechi, 75 anni, ex sindaco di Alghero e consigliere regionale (di Sel) per un mandato, è da decenni l’avanguardia cittadina nei rapporti con la Catalogna: «Li porto avanti ininterrottamente dagli anni Settanta».

Il curriculum parla per lui: componente dell’Università Catalana d’Estiu, l’organizzazione nata sotto e contro il franchismo che annualmente si riunisce a Prades, in Francia; direttore dell’Obra cultural, l’istituzione più rappresentativa della catalanità algherese; esponente di Sardenya y llibertat, il movimento politico che si batte per l’autodeterminazione dei popoli; fa parte del consiglio di presidenza del Comitato nazionale federativo delle minoranze linguistiche d’Italia. L’esperienza gli fa dire che «a Puigdemont la solidarietà è arrivata e arriverà da molte direzioni. Oltre le frange più estreme e radicali, in Sardegna c’è una vocazione all’autodeterminazione diffusa con un arcobaleno di sfumature in tutte le forze politiche». 

Sicuro?

«Nessuno può accettare l’arresto di un politico solo perché professa un’idea che non è condivisa dal governo spagnolo». 

Chi l’ha invitato ad Alghero?

«Gli amministratori pubblici indipendentisti di Sa Corona de Logu».

Qualcuno può avergli dato la garanzia che non ci sarebbero stati problemi?

«Da tempo giornali, siti online e tv avevano annunciato la sua presenza alla manifestazione di Alghero: la notizia era arcinota. Sono convinto che lui avesse ottenuto le rassicurazioni necessarie ad affrontare il viaggio dal Belgio alla Sardegna».

Tradito da Alghero, gemella di Barcellona?

«La città sorella lo aspettava festosa, per accoglierlo e festeggiarlo, com’è normale che avvenga».

Carlo Sechi (foto archivio L'Unione Sarda)
Carlo Sechi (foto archivio L'Unione Sarda)
Carlo Sechi (foto archivio L'Unione Sarda)

Come ha reagito la comunità algherese?

«Con passione, perché è forte il legame con la Catalogna. C’è anche una minoranza divorata solo da una curiosità morbosa che prima di tutto vuole sentirsi parte di un fatto di cronaca di valenza europea: un po’ come quelli che vedi in prima fila davanti alle lamiere delle auto dopo un incidente stradale. Certo, sarebbe bello che la cittadinanza avesse lo stesso trasporto davanti ai tentativi di soffocare l’anelito di libertà verso l’autodeterminazione di ogni popolo».

E invece non accade?

«Ai sardi, non solo agli algheresi, basterebbe seguire le orme di Antoni Simon Mossa. Complice il rapporto con gli intellettuali Rafael Sari e Rafael Catardi che lo sensibilizzarono alla questione catalana, era vicino a quest’ultima e a tutti i popoli che inseguivano l’autodeterminazione. In quest’ottica si inseriva la battaglia a difesa della lingua e della cultura, ovviamente in secondo piano».  

Ripercussioni sulla città?

«Nessuna. Anzi, forse può avere riflessi positivi perché qualcuno si avvicinerà a questi temi per curiosità democratica. Accadrà se gli algheresi e i sardi sapranno intessere relazioni più profonde con la Catalogna non mediate dalle istituzioni».

L’arresto farà deflagrare la trattativa tra Spagna e Catalogna?

«Potrebbe andare diversamente. Non c’è la convinzione che sia giusto spingere fino in fondo nel percorso verso l’indipendenza. In questo periodo di crisi è più importante produrre risultati meno appariscenti ma concreti».

Quali?

«Ulteriori concessioni, magari legate al prelievo fiscale, sul modello basco. O magari sul tema della lingua, con regole più stringenti. La trattativa è doverosa, soprattutto dopo una pandemia disastrosa, con l’emergenza rifugiati e quella economica alle porte».

Come si concluderà il caso Puigdemont? 

«La Costituzione italiana non consente l’estradizione per un reato d’opinione: sarebbe un precedente molto grave. L’unica strada che la Spagna può seguire è l’indulto, per sottrarlo al ruolo di perseguitato politico, magari dentro a un accordo più ampio. Penso che lo stesso governo spagnolo in realtà si auguri che sia rilasciato. Perché vederlo tornare in manette sarebbe una brutta gatta da pelare. Per tutti».

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