Avvocato, quando il sesso diventa stupro?
“Semplicisticamente potremmo dire, quando manca il consenso di uno dei partner. Più precisamente l’articolo 609 bis del Codice penale dispone che commette violenza sessuale “chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali”. Alla stessa pena (reclusione da 6 a 12 anni) soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando della condizione di inferiorità fisica o psichica della persona offesa o traendo in inganno la stessa per essersi sostituito ad altra persona. 
Se vi è la partecipazione di più persone il reato che si delinea è quello della “violenza sessuale di gruppo” (art 609 octies c.p.), punito con la reclusione da 8 a 14 anni. Da queste definizioni è facile comprendere perché l’accertamento processuale di questa violenza ha come elemento centrale il concetto di consenso all’atto sessuale da parte della persona offesa”. 

Premessa doverosa, per poter analizzare al meglio quello che, ormai, è il caso Grillo. Ne parliamo con Claudia Rabellino Becce, avvocato e scrittrice, cagliaritana per passione, osservatrice attenta del mondo femminile.

 
Proviamo a ricostruire i fatti. Si è fatta un’idea di quello che potrebbe essere successo, quella notte, nella villa in Costa Smeralda?
“In ogni procedimento penale ci sono più verità: quella dell’indagato/imputato, quella della persona offesa/parte civile, quella del Pubblico Ministero che rappresenta l’accusa. Alla fine, l’unica verità che conta, però, è quella accertata con il provvedimento che definisce il processo. Ognuna e ognuno di noi può farsi un’idea sui fatti, ma poi deve saggiamente conservarla per sé, soprattutto in questa fase nella quale il procedimento è ancora pendente”. 

Il figlio di Beppe Grillo, Ciro, è un ragazzo bello, ricco, famoso. Questo potrebbe aver attratto la ragazza facendola però sentire, al contempo, al sicuro? C’è chi sostiene che questa giovane donna si stata troppo avventata. Non si dovrebbe mai andare a casa di uno sconosciuto.
“La violenza di genere che sfocia sempre più spesso in femminicidio ci insegna che le donne non sono al sicuro neppure tra le mura domestiche, accanto al loro marito/compagno. Come dicevo, non scendo nel merito di una vicenda che è ancora sub iudice, ma sottolineo che ognuna di noi dovrebbe potersi sentire al sicuro, sempre. Serve un ribaltamento delle responsabilità, un cambio di prospettiva e di cultura. Nel primo processo per stupro andato in onda sulla Rai, nel 1979, il difensore dell’imputato concluse la sua arringa dicendo: “se questa ragazza si fosse stata a casa, l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente”. Da allora sono passati 32 anni e tuttavia si continua a colpevolizzare la vittima, perpetuando il modello di una certa mascolinità tossica e predatoria.  In realtà dobbiamo smettere di insegnare alle donne a difendersi dalla violenza e cominciare a insegnare agli uomini a non essere violenti. Nel frattempo, la prudenza nei comportamenti è una scelta di necessità”. 

Quando e se gli atteggiamenti femminili, possono essere fuorvianti?
“Non esistono comportamenti fuorvianti. Un uomo è in grado di percepire se la sua partner sessuale è consenziente o meno e se nutre qualche dubbio in proposito, non deve andare oltre”. 


Una donna può dire basta quando vuole e come vuole.
“Certo, il consenso all’atto sessuale e alle modalità di consumazione dello stesso deve esistere dall’inizio alla fine del rapporto e deve essere valido e cosciente.  Ognuno dei due partner può cambiare idea in ogni momento e l’altro deve comportarsi di conseguenza. Ecco perché, per esempio, in Italia non avrebbe senso l’uso di “iCONSENT”, la recente applicazione per smartphone, sviluppata, con varie critiche, in Danimarca, che permette agli utenti di concedersi un consenso preventivo in vista di un incontro sessuale”.

E veniamo al video di Beppe Grillo. Lo ha visto?
“Sì, difficile evitarlo anche volendo”.

Un frame del video di Beppe Grillo
Un frame del video di Beppe Grillo
Un frame del video di Beppe Grillo

Siamo davanti a un padre, folle di rabbia e di dolore, che difende il figlio?
“Sicuramente follia, rabbia e dolore sono elementi che emergono con chiarezza nei toni “scomposti” della registrazione. Nessuno può negare che si tratti di una prova dura per un genitore. Il rischio, però, è di perdere ragione e ragionevolezza, cedendo alla tentazione di usare l’influenza mediatica della propria posizione di personaggio pubblico, per spostare il processo dal suo naturale e legittimo contesto (il palazzo di giustizia) a una pericolosa piazza virtuale, con la grave conseguenza di esporre alla gogna mediatica la presunta vittima. Non bisogna dimenticare, infatti, che in questa vicenda ci sono più famiglie coinvolte e che tutte meritano uguale rispetto per il loro dolore”.

Ma siamo anche davanti al leader di un movimento politico che ha fatto del giustizialismo la sua bandiera.
“Il giustizialismo è sempre più facile quando si parla delle vite degli altri. Quando una vicenda giudiziaria ci tocca da vicino scopriamo improvvisamente il valore irrinunciabile della presunzione di innocenza e di tutti gli strumenti di garanzia che, fortunatamente, abbiamo nel nostro sistema penale, per perfettibile che esso sia”.

Avvocato, Beppe Grillo sostiene che denunciare uno stupro dopo otto giorni equivalga ad ammettere l’inesistenza dello stupro stesso. Cosa dice la legge a questo proposito?
“La Legge 69 del 2019 (cosiddetta “Codice rosso”) ha portato il termine per la proposizione della querela a 12 mesi proprio in ragione del fatto che molto spesso le vittime hanno bisogno di tempo per elaborare l’accaduto prima di arrivare alla determinazione di denunziare. Affermare che se non si denunzia subito, il fatto non esiste, non è solo inesatto dal punto di vista giuridico, è una mancanza di rispetto verso tutte e donne. In Italia la percentuale di chi denuncia e bassa e bassa è la percentuale dei casi per i quali viene attuata un’azione penale e delle condanne conseguenti. Le vittime hanno paura, spesso provano vergogna e senso di colpa in ragione dei pregiudizi e degli stereotipi sulla base dei quali “alle brave ragazze non succede nulla e se ti è successo qualcosa non sei una brava ragazza”. Questo schema, è evidente, è frutto di una cultura arcaica e patriarcale che va combattuta”.

Cosa deve fare una donna quando è vittima di una violenza sessuale?
“Dal punto di vista pratico esistono anche su siti istituzionali consigli di buone pratiche. La denuncia dovrebbe essere il più possibile tempestiva per consentire di preservare le prove del fatto (es sugli indumenti o sul corpo). Il primo consiglio è di recarsi al Pronto Soccorso dove per legge è prevista una “corsia preferenziale” che garantisce riservatezza e attenzione per le vittime. Purtroppo, la realtà ci dice che i tempi di elaborazione difficilmente consentono un approccio razionale. Spesso la vittima non realizza l’accaduto o vuole rimuoverlo. È un fardello difficilissimo da portare, soprattutto da sole. Il primo consiglio, quindi, è di condividere con una persona di fiducia questo peso, di non provare vergogna e di farsi aiutare nel percorso verso il superamento, sempre possibile, di questo terribile trauma”.

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