«In un’ora, potevo fare trenta documenti falsi. Se avessi dormito un’ora, sarebbero morte trenta persone». Con questo comandamento Adolfo Kaminsky diventa il falsario di Parigi negli anni terribili della seconda guerra mondiale riuscendo a salvare migliaia di ebrei dai campi di sterminio. Lui, morto nel 2023 a 97 anni, è partigiano, attivista, fotografo e artista. La sua vita, davvero rocambolesca, rivive in uno spettacolo teatrale: protagonisti Emanuele Ortu e Evelise Obinu.

Kaminsky nasce a Buonos Aires nel 1925 da una famiglia di ebrei russi. Nel 1932 l’approdo a Parigi assieme ai genitori, in cerca di fortuna. Poi a Vire dove aiuta lo zio in una tipografia. Una formazione che si rivela molto utile negli anni successivi. Nell’ottobre del 1943 viene arrestato dai nazisti assieme alla famiglia. Finisce nel carcere di Caen, poi nel campo di internamento di Drancy, vicino a Parigi, dove partono i treni per l’inferno di Auschwitz. Nel 1944 scampa al peggio, salvato dai passaporti rilasciati dall’Argentina, Paese non belligerante, anche grazie all’intervento del consolato. A quel punto la svolta: inizia a collaborare con la Resistenza francese.

Un momento dello spettacolo (foto Laura Farneti)
Un momento dello spettacolo (foto Laura Farneti)
Un momento dello spettacolo (foto Laura Farneti)

Grazie al lavoro in una coloreria, diventa esperto nell’uso delle sostanze chimiche. Quando entra in contatto con un gruppo della Resistenza capisce che creare documenti falsi aiuterebbe a salvare migliaia di vite e lui, con le sue competenze e l’abilità a usare e combinare colori e inchiostri, potrebbe essere la persona giusta. Opera in clandestinità, protetto dallo pseudonimo Julien Keller. Nel suo laboratorio segue i casi più disperati. Obiettivo ottenere ospitalità per i perseguitati, soprattutto bambini, in conventi e case rurali, e aiutarli poi a fuggire in Svizzera o in Spagna.

Nella Parigi della Resistenza riesce a sfornare incessantemente documenti per ebrei di ogni età: certificati di battesimo, di matrimonio, tessere alimentari. Tutti contraffatti, ma con tale abilità da garantire la salvezza a migliaia di persone che riescono così a scampare alla Shoah. Lui, che non è più Adolfo Kaminsky, diventa il falsario di Parigi: non si ferma mai perché, secondo i suoi calcoli, un’ora di stop avrebbe compromesso la vita di trenta persone. Perciò è sempre sveglio, ogni minuto è fondamentale per la salvezza di qualcuno.

L’impegno da attivista va avanti anche dopo la Resistenza e la seconda guerra mondiale. Si riappropria della sua vera identità, torna a essere Adolfo Kaminsky, e prosegue la lotta contro le dittature e le ingiustizie in tante realtà difficili. Falsifica documenti per i perseguitati dei regimi greco, argentino, spagnolo, portoghese, nicaraguense e per i disertori americani che non vogliono fare la guerra in Vietnam.

La sua storia è nota grazie anche al libro della figlia Sarah titolato “Adolfo Kaminsky. Una vita da falsario”. In Sardegna viene raccontata con uno spettacolo di teatro di narrazione con illustrazione e musica dal vivo. Sul palco Emanuele Ortu e Evelise Obinu che di recente si sono esibiti a Bitti, Orosei, Mamoiada, Fonni, Assemini e Cagliari dopo le tappe d’esordio a Carbonia e Dorgali.

Gli attori Emanuele Ortu e Evelise Obinu in scena (foto Laura Farneti)
Gli attori Emanuele Ortu e Evelise Obinu in scena (foto Laura Farneti)
Gli attori Emanuele Ortu e Evelise Obinu in scena (foto Laura Farneti)

«Lo spettacolo nasce da un lavoro di ricerca di due anni sulla storia di Adolfo Kaminsky e le sue tecniche di falsificazione. Coniuga diversi linguaggi. La narrazione orale racconta la storia, le sonorizzazioni sono costruite attraverso il campionamento di suoni industriali ed elettronici. Le illustrazioni analogiche sono realizzate dal vivo attraverso l’unione di diverse tecniche artigianali e video riprese», spiegano gli artisti. E aggiungono: «Ci affascinano molto le storie legate alle resistenze di qualsiasi parte del mondo».

Emanuele Ortu, in particolare, si imbatte nella storia di Kaminsky mentre è alla ricerca del racconto di una partigiana o di un partigiano che abbia avuto un approccio non violento e lo abbia portato avanti anche dopo la seconda guerra mondiale. Non a caso, gli artisti sulla scena allargano lo sguardo verso l’attualità richiamando gli sconvolgimenti internazionali in corso fino alle guerre come quella a Gaza. «Siamo molto spaventati dal periodo storico che stiamo vivendo», sottolineano. E pensando a Kaminsky concludono: «Raccontare questa storia è il nostro modo di lottare, di attivare altre persone, sia grandi che piccole, perché pensiamo che se c’è una speranza questa possa essere data solamente dall’attivazione collettiva e dal rendersi conto, adulti e ragazzi, che solo insieme possiamo contribuire al nostro benessere e alla salvezza».

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