Dal Foggia al Foggia, nonostante l’età. Piaccia o non piaccia, il discusso Zdenek Zeman, nato nel 1947 a Praga, continua a far parlare di sé anche a 74 anni. Seduto sulla panchina della squadra che lo ha lanciato nel calcio che conta, continua a insegnare la “sua” filosofia del pallone proprio a Foggia, per quello che è il quarto ritorno nel capoluogo della Puglia, nel campionato di serie C. Con l’obiettivo di scrivere una nuova pagina della saga Zemanlandia, diventato nel 2009 un film documentario sulle imprese sportive del Foggia di Zeman, capace di approdare in serie A vincendo il campionato cadetto 1990-1991, per poi conquistare per tre stagioni la salvezza sfiorando un clamoroso accesso alla Coppa Uefa, sfumato all’ultima giornata contro il Napoli.

Mille panchine

Le sue frasi sono spesso diventate delle perle di saggezza calcistiche. Il maestro boemo ne ha dispensate tantissime nei suoi 47 anni da allenatore, la grande maggioranza trascorsi in Italia (anche sulla panchina del Cagliari, nella stagione 2014-2015 finita con la retrocessione in serie B, con esonero a dicembre, per lasciare il posto a Gianfranco Zola, ritorno alla guida dei rossoblù a marzo e nuovo addio ad aprile, sostituito da Gianluca Festa). Mister “mille panchine”, ma sono molte di più, non ha risparmiato nessuno. Dai giocatori che ha allenato e che si lamentavano spesso per le sedute fisiche troppo dure. «Alcuni calciatori dicono che faccio correre troppo? Quando vivo nel lungomare, ogni mattina vedo un sacco di persone che corrono. E non vengono pagate da nessuno».

Oppure a chi gli faceva notare le troppe sigarette che fumava: «Non le conto, altrimenti mi innervosirei e ne fumerei di più». Ha sempre cercato di far giocare le sue squadre per far divertire il pubblico: «Nel calcio di oggi», ha detto un giorno, «conta solo il risultato. Nessuno pensa a far divertire la gente. Non ha più importanza se il pubblico va allo stadio o da qualche altra parte». Così, nel giorno della sua ennesima presentazione a Foggia, ha ribadito: «Sono qui per fare calcio propositivo». E celebri sono state e sue uscite contro il doping nel calcio, sollevando gigantesche polemiche e durissime reazioni. 

Alla ricerca della libertà

La prima volta che Zdenek Zeman, figlio di un primario dell’ospedale di Praga, varca il confine italiano è il 1968: va in vacanza a Palermo con la sorella per trovare uno zio. Rientra in patria dopo i moti della Primavera di Praga ma l’anno dopo torna a Palermo in cerca della libertà che la sua terra non gli poteva più dare. È il 1975 quando ottiene la cittadinanza italiana. Sposa un’italiana da cui avrà due figli. Le prime avventure come allenatore sono in squadre siciliane: il Cinisi, il Bacigalupo, il Carini, giusto per citarne alcune. Poi ci sono le giovanili del Palermo. Il suo gioco, anche nelle categorie più basse, è sempre spumeggiante e conquista l’allora presidente del Licata: Zeman porta la squadra dalla C2 alla C1 con tantissimi gol realizzati (ma anche molti subiti). Nel 1986-1987 la prima volta a Foggia. Va male. Esonerato perché sembra avesse un accordo con il Parma, diventa effettivamente l’allenatore degli emiliani in serie B. L’avventura dura poco. C’è poi il Messina e, nel 1989, il ritorno a Foggia.

Il trio delle meraviglie e Roma

È il momento più alto per Zeman. Vince il campionato di serie B (dopo una partenza in salita) con il miglior attacco grazie al “trio delle meraviglie” Baiano-Signori-Rambaudi.

Sono anni magici. Tre campionati in A con il sogno di arrivare in Uefa. L’allenatore lancia molti giocatori come Di Biagio, il giovane Padalino, i russi Shalimov e Kolyivanov, il rumeno Petrescu. I tre anni in rossonero sono il trampolino di lancio per Zeman. Nel 1994-1995 arriva la chiamata della Lazio. Stagione straordinaria, con secondo posto, così come la seconda, con un terzo posto e Beppe Signori capocannoniere della serie A. Nel 1997 si trasferisce alla Roma del presidente Franco Sensi: due campionati, quarto e quinto posto, poi l’addio. Con le grandi del calcio italiano non va più bene: dopo l’esperienza di tre mesi in Turchia alla guida del Fenerbahce, c’è il Napoli: due punti in sei partite, ed esonero.

Foggia-bis, super Pescara e il tramonto

Tra alti e bassi (con Salernitana, Avellino, Lecce, Brescia e Stella Rossa) nel 2010-2011 ritorna a Foggia per la terza volta. C’è di nuovo il vecchio presidente Pasquale Casillo. In Lega Pro è sesto posto: miglior attacco (con una coppia formata da Lorenzo Insigne e Marco Sau, capocannoniere) e, guarda caso, anche difesa più battuta. Poi è la volta del Pescara: riporta in serie A la squadra abruzzese con i gol di Ciro Immobile, di nuovo Insigne e alle giocate di Marco Verratti. Nel 2012 c’è di nuovo l’opportunità con la Roma: proprio la sconfitta interna con il Cagliari alla 23esima giornata porta all’esonero di Zeman.

Il resto – dopo la tormentata annata sulla panchina rossoblù del Cagliari, scelto dal neo presidente Tommaso Giulini – è Lugano (nono posto e salvezza), di nuovo Pescara (retrocessione e, in B, esonero).

Il ritorno

Il 26 giugno 2021 viene presentato ufficialmente dal Foggia. Tre anni di inattività non lo hanno minimamente cambiato: 4-3-3, cercare di far sempre un gol in più dell’avversario e pazienza se ne subisci molti, sorriso beffardo, parlata lenta, tono sempre uguale e l’immancabile sigaretta in bocca. «Sono qui per fare calcio propositivo», le sue parole. E sul Covid: «Ho vissuto male il calcio in questo periodo. Senza pubblico non ha senso».

Allenare a 74 anni? «Mi sento migliorato rispetto a quando ero giovane. Spero di dimostrarlo». Così parlo il Maestro. Pronto a regalare ancora tanto al calcio. Lui che, per dirla all’Antonio Albanese (l’attore inventò il personaggio Frengo, dj e telecronista innamorato dell’allenatore del Foggia, chiamato “Simpatia Zeman” nella fortunata serie televisiva Mai dire gol), non era capito.

«Il mondo», spiegava in un celebre monologo Frengo, con l’allenatore accanto, zitto e intento a fumare, «non capisce che la classifica è un modo profondamente sbagliato di misurare il valore delle squadre. Primo, secondo, terzo, quarto ma che cosa vuol dire? Quello che conta sono i sentimenti. Tu hai sempre insegnato ai tuoi giocatori che fermare l'avversario è sleale, così distruggi il gioco, è un'offesa alla bellezza del calcio. Tu giochi sempre con lo stesso modulo: 6 attaccanti, 2 centrocampisti e in difesa due assistenti degli attaccanti avversari. E così non ti hanno mai capito. Sei troppo avanti, tu sei più avanti di Lou Reed».

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