Katie correva. Non aveva un fisico imponente, ma era agile e aveva mani forti e salde. Non basta per giocare bene, però aiuta. È il primo passo: poi per il football (stiamo parlando di quello americano, ovvio) serve anche una capacità di sacrificio non comune e un coraggio ai confini della follia. Katie non era sprovvista neppure di queste doti. Ha avuto una bella carriera nel maggior campionato femminile Usa, era una delle poche capaci di essere schierate sia nelle fasi d'attacco che in quelle difensive, ruoli che in quello sport vengono affidati a squadre completamente diverse. Katie correva tanto, poi a 30 anni un infortunio l'ha costretta al ritiro.

Oggi Katie Sowers va per i 34, e nel suo lavoro usa la testa, più che le mani e le gambe. Fa da allenatrice ai wide receivers, i ricevitori, quelli che devono correre agili e abbrancare la palla ovale con mani forti e salde. Come faceva lei sul campo, però loro sono uomini. E non uomini qualsiasi ma quelli dei San Francisco 49ers. Una delle squadre più nobili e titolate del football professionistico americano. Quest'anno anche una delle più forti, visto che domenica 2 febbraio, a Miami, contenderà ai Kansas City Chiefs la vittoria nel Superbowl, il principale evento sportivo del pianeta. Ecco: quel giorno Katie Sowers sarà la prima donna a partecipare al Superbowl come allenatrice, all'interno dello staff dei 49ers. E sarà una giornata storica.

I soffitti di cristallo più difficili da infrangere sono forse proprio quelli dello sport: un ambito che in teoria è dominato dalla meritocrazia assoluta, eppure è anche uno di quelli in cui la parità uomo-donna stenta ad affermarsi. Sia come ruoli che come retribuzioni. Con la sua presenza a Miami, Sowers tirerà una picconata a quella barriera invisibile. Piccola legenda per i distratti: la metafora del soffitto di cristallo, coniata in America negli anni '80, indica il "blocco" che nessuno dichiara ma che esiste realmente, e che esclude le donne dagli incarichi più alti anche nelle attività in cui la presenza femminile è consistente, per effetto di una tendenziale cooptazione silenziosa degli uomini in favore degli uomini. Figurarsi quanto può essere difficile incrinare quel cristallo nel football maschile, sport fisico se ce n'è uno, e in cui tra l'altro i giocatori sono quasi tutti dotati di personalità debordanti e scorte inusuali di autostima (se no non potrebbero tuffarsi in mezzo a branchi di omoni pesanti e aggressivi, pensando di riuscire a uscirne indenni per correre verso un touchdown).

L'Hard Rock Stadium di Miami, che ospiterà il Superbowl, tratta dal sito dello stadio
L'Hard Rock Stadium di Miami, che ospiterà il Superbowl, tratta dal sito dello stadio
L'Hard Rock Stadium di Miami, che ospiterà il Superbowl, tratta dal sito dello stadio

Non è detto che quegli uomini accettino facilmente di farsi dire da una donna come migliorare il loro gioco. E del resto lo vediamo anche nello sport italiano: nessuno si sorprende che gli allenatori delle squadre femminili siano maschi, mentre è rarissimo il contrario. A dire il vero, è raro anche che le donne allenino le donne. Non c'è nessuna ragione biologica, per questo. È un fatto culturale, o psicologico. Per guidare un team serve acume tattico, conoscenza del gioco, se possibile carisma. Non c'entra la forza, non è necessario esser stati giocatori migliori di quelli che ci sono in squadra. In effetti non è necessario neppure esser stati giocatori, così come non devi essere una tigre per fare il domatore del circo. Nel calcio italico, l'allenatore più rivoluzionario di sempre - Arrigo Sacchi - aveva avuto una carriera da calciatore ridicola. Katie Sowers non è la prima donna in assoluto a far parte di uno staff di allenatori nella National Football League: ma i precedenti sono solo due. Ha aperto la strada Jennifer Welter nel 2015, come assistente difensiva degli Arizona Cardinals. L'anno dopo, Kathryn Smith fu la prima ad avere, con i Buffalo Bills, un contratto a tempo pieno. Ma nessuna di loro è arrivata neanche vicina al Superbowl. Anche qui, Katie ha saputo correre più veloce. Ci sarà un'altra "prima volta" assoluta per Sowers, domenica a Miami. Sarà la prima persona dichiaratamente gay a partecipare alla finale che assegna il titolo della Nfl. Ovviamente i suoi gusti sessuali non hanno niente a che fare col suo mestiere di coach, ma lei stessa recentemente ne ha parlato perché, in realtà, proprio il fatto di essere gay le aveva precluso l'accesso alla prima panchina della sua vita. Nel 2009 si è laureata in educazione fisica al Goshen College (Indiana), ed essendo brava anche nel basket si era proposta come allenatrice volontaria della squadra femminile dell'ateneo. Ma uno dei responsabili le disse che non sarebbe stato opportuno che le ragazze fossero allenate da una donna gay. In seguito Katie ha portato avanti la sua carriera in campo e fuori dal campo, ma adesso che ha raggiunto una discreta notorietà il Goshen College ha ritenuto doveroso presentare pubbliche scuse per averla respinta a quel tempo. Ormai le discriminazioni sembrano finite. In questi giorni in cui si avvicina la partita dell'anno, la storia di Sowers viene rilanciata di continuo da tutti i media Usa. La giovane "assistant coach" è stata persino arruolata come testimonial nel nuovo spot televisivo del portatile Microsoft Surface Pro 7, che andrà in onda proprio nell'intervallo del Superbowl. Ma lei non intende fermarsi qui. Il primo obiettivo è la vittoria nello scontro con i Chiefs, che per lei è quasi un derby: non tanto perché è nata in Kansas, dato che invece Kansas City è nello Stato del Missouri (una di quelle curiosità che è utile sapere quando si gioca a Trivial Pursuit). Ma perché la parte migliore della sua carriera di giocatrice di football, quella in cui divenne campione del mondo con la nazionale Usa femminile, si svolse nei Kansas City Titans. Dopodiché, comunque vada domenica a Miami, questa ragazza sorridente e grintosa continuerà a perseguire un successo davvero storico: essere la prima donna capo allenatore nella Nfl. Non sarà facile, il traguardo non è vicino. C'è ancora molto da correre. Ma questo, per Katie, non è mai stato un problema.
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