Si chiama rifiuto, ma è un fallimento. Il no – imprevedibile, imprevisto dalla stampa specializzata – di Claudio Ranieri chiamato a salvare dallo sbandamento totale la nostra nazionale di calcio, è la certificazione di quanto la guida del calcio in Italia sia nelle mani di persone che sbagliano e continuano a farlo. Colpevoli di credere di essere infallibili. Nonostante le batoste, una dopo l’altra.

E’ stato esonerato – cacciato – un selezionatore (Spalletti) senza avere fra le mani un sostituto pronto a raccogliere una squadra (un movimento) in profonda crisi. E lo hai mandato in campo da esonerato, come se un dirigente neo licenziato continuasse a recarsi al lavoro col sorriso e le motivazioni giuste.

Si continua a cercare un allenatore, un tattico, un uomo che “insegni” il suo calcio agli azzurri, quando lo sanno anche le pietre che in pochi giorni, in poche ore, non puoi e non riuscirai mai a predicare la tua dottrina a un gruppo che poi va in campo e poco farà di quello che hai chiesto. Atleti stanchi, logorati, che giocano “a tre” e tu in due giorni gli chiedi di fare altro, centrocampisti che inciampano sul compagno e attaccanti che fanno lo stesso movimento dell’altra punta. Ranieri, a 73 anni, avrebbe dovuto condurre un doppio ruolo, sopportare le voci (inevitabili, già pronte) di partigianeria alla guida della nazionale e nel tempo libero salvare la Roma da possibili sbandamenti: no, signori, grazie lo stesso.

La nazionale, purtroppo i ragazzi non lo sanno perché non la vedono ai mondiali, è qualcosa che unisce, che univa, per cui tutti fanno il tifo e stanno insieme. Siamo riusciti, da italiani, a rendere questo fenomeno qualcosa di sgradevole. Sperando che arrivi un altro Ranieri, all’infinito.

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