Cosa l’ha colpita di più da quando è tornato a Cagliari?

«Non posso dire mi colpito di più. E neanche posso dire: mi ha colpito. Mi aspettavo l’affetto dei tifosi, ma è andato al di là. Sono stati immensi e non finirò mai di ringraziarli. In tutto il percorso della mia carriera, quando mia moglie mi vedeva sorridere di più quando mi fermava qualcuno, mi diceva: sono sardi? Sono di Cagliari? Perché mi vedeva che avevo proprio un altro sorriso. Io di solito sono sempre disponibile, ma quando mi fermava un sardo, un cagliaritano, proprio mi si apriva il cuore, per cui mi aspettavo qualcosa di caloroso, ma veramente sono stati magnifici. Sono stati magnifici sabato a starci dietro, a spingere la squadra. Ci saranno dei momenti difficili e in quei momenti ci devono aiutare, perché se dovessimo andare in Serie A, molto dipenderà anche dai tifosi. Dipenderà da me, dai ragazzi, da tutti quanti, ma loro saranno gli artefici principali, perché nei momenti di difficoltà loro dovranno capire e aiutare i ragazzi in campo».

Lei ha finito da qualche ora l’allenamento. Sempre in prima fila: non me ne vogliano i calciatori, ma lei anche oggi è sembrato il più carico!

«L’allenatore deve caricare la squadra. Io credo che ci sia un interscambio, un osmosi, perché chi motiva il motivatore? Io dico che sono i miei ragazzi: vedendoli come si allenano, come si impegnano, loro danno a me l’energia in modo che io possa ridonarla indietro».

Claudio Ranieri ha scelto L’Unione Sarda per la prima intervista dopo il suo ritorno a Cagliari. Arriva in Redazione, alle sei di sera, dopo essersi mosso da solo nel traffico rallentato dalla pioggia. Abbraccia il nostro Ivan Paone («Ma sei ancora qui?»), stringe decine di mani, c’è una foto per tutti. Sembra una curva. Ranieri apprezza e ringrazia. E si dice pronto, accomodandosi in studio, a condurre il Telegiornale di Videolina («Ma solo tra qualche anno», chiosa). «Caffè? No, grazie. Ho appena bevuto una spremuta».

Durante l’allenamento, qualche ora fa, lei urlava ai ragazzi: «Vivete questo momento come se fosse la partita».

«Ma sì, perché, in pratica, la partita tu te la devi giocare prima, io già me la sto giocando. Io come ho finito la gara con il Como sono andato a vedere la partita d’andata, le partite che ha fatto il Cittadella. Come gioca, come pressa, come fa. È importante che i ragazzi sappiano questo e io già gli ho fatto vedere alcuni spezzoni della partita con il Cittadella. Noi dobbiamo essere pronti, perché se vai lì e non sei pronto, oltre a soffrire, vai a perdere sicuramente. Allora io dico: noi andiamo lì preparati. Poi sì, ci sono gli episodi della partita, lo sport è bello anche per questo, perché mai si può dire vado e vinco. Noi andiamo con la voglia di fare bene e di prendere più punti possibili. Sabato con il Cittadella e poi in tutte le partire che seguiranno. Sempre rispettando l’avversario».

Ha trovato casa a Cagliari, mister?

«Sì, ho trovato casa, entrerò in casa lunedì, quando ritornerà mia moglie».

Mare? Centro?

«Mah… Lungo strada».

Quanto è cambiata Cagliari?

«Tanto, è cambiata tanto. Ho visto che ci sono nuovi quartieri, nuove strade, nuove tangenziali. È cresciuta tantissimo».

Le è capitato, in questi trent’anni, di tornarci spesso?

«No, spesso no. Sono tornato per l’ultima partita al Sant’Elia, ritrovando tanti amici in campo e fuori».

Lei, da allenatore, era fermo da quasi un anno, dopo l’esonero a Watford. Cosa l’ha convinta a tornare a Cagliari?

«Allora, io vivo per le emozioni. Ci sono state diverse richieste che però non si sono mai concretizzate. E io che sono fatalista dico: che cosa c’è dietro? Perché non vado qua, non vado lì, perché non si chiude questa trattativa. Dov’è che volevo arrivare? Volevo venire qui a Cagliari. Non ero prontissimo dopo Watford. Io soffro tantissimo quando di mandano via. Le prime richieste non le ho accettate perché non potevo caricare i giocatori, perché se non mi carico io, non riesco a dare tutto me stesso. Nella mia carriera ho vissuto dei momenti belli e dei momenti brutti. E nei momenti brutti mi ricordavo di quell’esperienza a Cagliari. Mi sono detto: vado. E se poi non riesco a dare quello che tutti sogniamo? Però poi… il figlio di Gigi Riva, Gigi che un’intervista dice Claudio è uno di noi. Il presidente Giulini che insisteva. Sono venuti a casa il direttore sportivo, l’amministratore Carlo Catte. C’è stato un pressing che mi ha portato a dire: ma perché devo essere egoista e non rischiare? Il ricordo resterà sempre, ma si sarà una nuova avventura che, mi auguro, possa finire come quella di tanti anni fa».

La sua famiglia come ha vissuto questa sua scelta?

(Ride) «Loro sanno che dentro casa non ci so stare».

Chi la seguirà a Cagliari?

«Mia moglie, mia moglie. Siamo sposati 46 anni. Le faccio fare un altro trasloco!».

Com’era la sua giornata senza calcio?

«Era un po’ noiosa. Vedevo passare il tempo. Oddio, giocavo con i nipotini, poi vedevo tanto calcio. Però se non sei tu partecipe principale del calcio… Non mi ci vedo, ancora non mi ci vedo. Ancora ho voglia di lavorare, di insegnare a questi ragazzi, per cui eccomi qua».

Dal 3 gennaio di nuovo in prima fila. Quante ore lavora l’allenatore del Cagliari?

«Non l’allenatore del Cagliari. Io credo che tutti quanti noi allenatori lavoriamo 25 ore al giorno. Perché oltre a quello che facciamo al campo e tutto, vuoi o non vuoi, e l’idea ti parte e ti dice ma forse quello o quell’altro avversario, forse se la metto così è meglio, per cui un allenatore lavora sempre, lavora sempre».

Claudio Ranieri e i social sono due mondi distanti?

«Io e i social non c’entriamo niente. Io non ho nessun profilo. Però so che è un messaggio universale che, soprattutto, i giovani, utilizzano».

Il suo rapporto con i giornalisti.

«Devo essere sincero, credo sia sempre stato buono. Io avevo uno zio che, con Angiolillo, avevano fondato Il Tempo. Da piccolino mi ha portato due o tre volte in redazione! A parte questo, capisco le necessità dei giornalisti. Certo, noi allenatori non possiamo dire tutto, a volte siamo scontati, ma questo anche per proteggere determinate cose. Ci sta lo scontro, qualche volta, a caldo. Ma credo di avere un buon rapporto».

Lasciamo per un momento lo sport. Cosa pensa dell’arresto del boss Matteo Messina Denaro?

«Complimenti ai Carabinieri e a quanti hanno lavorato nell’ombra per stanarlo. Seguivo una trasmissione, dicevano: parlerà? Io credo che non parlerà mai».

La prima premier donna, Giorgia Meloni, ha un padre sardo ma è romana de Roma come lei. La partita è appena iniziata. Come?

«Io vedo una donna determinata. Sono sincero, non l’ho votata, però mi sta piacendo. Ha le idee chiare, sa che deve lottare e lo sta facendo. In bocca al lupo».

Tra poco si voterà per le Regionali nel Lazio. Prima si litigava per l’immondezza a Roma, ora per i cinghiali a spasso… Eppure è la città più bella del mondo.

«E la città più bella del mondo però evidentemente ha i problemi più grandi del mondo. Eppure noi romani ci mettiamo del nostro: mi sembra che tante volte non vogliamo bene alla nostra città».

Due Mondiali senza l’Italia… Tristezza.

«Sì, è una grande tristezza, però ci sta, nel calcio ci sta. Abbiamo vinto un Europeo, Mancini è stato bravissimo. E poi probabilmente ci hanno conosciuto, ci hanno studiato, non siamo stati in grado di ripetere quelle prove così convincenti. Con quel pizzico di fortuna o sfortuna che nello sport è una costante».

Lei per chi faceva il tifo, senza gli azzurri?

«Per l’Argentina! Allora, facevo il tifo per il Marocco. Poi per l'Argentina».

Che vuoto lascia Gianluca Vialli?

«Persona splendida. Uomo splendido. Lascia in eredità la sua pacatezza, il suo equilibrio».

Vialli scelse di vivere a Londra. Lei non è mai stato tentato di trasferirsi fuori dall’Italia? Lei ha lavorato in Spagna, in Inghilterra, in Francia, in Grecia…

«Io ho casa a Londra, però devo tornare in Italia. Gianluca aveva sposato una ragazza inglese, per cui era normale restare là».

Mentre vinceva le Premier con il Leicester, continuava a informarsi sul calcio italiano? E magari sul Cagliari?

«L’occhio sul Cagliari cadeva sempre. Era uno dei primi risultati, se non il primo, che andavo a vedere».

Guardando alla Serie A, sembra proprio l’anno del Napoli.

«Glielo auguro. Glielo auguro perché Spalletti se lo merita. I tifosi se lo meritano. E il Napoli sta facendo veramente un gran calcio».

Conosceva il presidente Tommaso Giulini?

«Lo conoscevo come presidente del Cagliari, ma non personalmente. E non come lo sto conoscendo adesso».

E che idea di sta facendo?

«Di un uomo che vuole bene al Cagliari, un imprenditore che ha speso tanto e che non ha raccolto per quanto ha seminato. Io mi auguro che io e il nuovo direttore sportivo Nereo Bonato possiamo fare del nostro meglio per ripagare la passione e i grandi sforzi del presidente Giulini».

Ha mai parlato, dopo il suo arrivo a Cagliari, con Fabio Liverani?

«No, ma non mi appartiene parlare con chi ha lavorato prima, perché voglio valutare giocatori, ambiente e tutto con i miei occhi».

Nella prima conferenza si è richiamato al senso di appartenenza…

«Sì, per mè è importantissimo».

Per noi sardi è Dna puro. Ricerca del consenso o lei pensa di conoscerci?

«No, io non penso di conoscervi, onestamente. So che siete molto chiusi e volete capire chi avete davanti. Allora dopo vi aprite. Però formate un nucleo solido. Io questo chiedo alla squadra. Io non l’ho detto per prendere consensi. I consensi me li mostrate in mille modi, me li mostrano i tifosi. Io ci credo in quello che dico. Io voglio che la mia squadra capisca, capisca la realtà Sardegna. E quando vanno in campo non appartengono alla squadra, appartengono all’Isola. E io voglio che loro facciano vedere l’orgoglio sardo. La determinazione sarda. L’Unione Sarda».

Claudio Ranieri si ferma e sorride.

«Non volevo...».

La risata si fa contagiosa.

«Non volevo farvi pubblicità, ma è quello che io chiedo ai miei giocatori. Essere squadra significa essere uniti. Essere squadra significa aiutarsi l’uno con l’altro. Per me è troppo importante l’aiuto reciproco. Chi non gioca è più importante di quelli che stanno giocando perché tu i campionati non li vinci con gli undici, i tredici che vanno sempre in campo. Li vinci con quelli che entrano per poche partite ma ti danno il cento per cento, il centodieci per cento. Quelli sono chi uomini che ti fanno capire che sì, il gruppo è solido».

Non c’era spazio tra i suoi guerrieri rossoblù per Pereiro?

«Pereiro è un ottimo giocatore, ma per il mio calcio ho bisogno di gente veloce, che pensi velocemente, che non mi tenga palla, che giochi possibilmente in verticale. Pereiro è un artista del calcio, però secondo me aveva bisogno di un altro tipo di squadra o di campionato».

Mercato: richieste? Indicazioni? Suggerimenti?

«Parliamo tutti i giorni. Questo è poco ma sicuro».

Nainggolan?

«Ho letto anche io che vorrebbe venire. Se Radja si calasse nel clima della Serie B, cambiando registro...»

Pavoletti come sta?

«Ha rimediato una distorsione, stiamo esaminando bene. Spero di averlo presto in forza».

Domani pomeriggio (oggi, ndr) la conferenza stampa prima della trasferta con il Cittadella. Ci regala qualche anticipazione? Chi giocherà davanti?

«Bhe, davanti gioca Lapadula. In porta (sorriso) Radunovic… No, non sto facendo pretattica. È che, veramente, io utilizzo la sera prima della partita proprio per fare tutto un riassunto della settimana. Chi mi ha convinto dei ragazzi. Io ho allertato quattro o cinque giocatori. Vediamo, chi mi risponde».

Lei qualche giorno fa ha parlato del nuovo stadio. Per lei sarebbe il quarto, a Cagliari…

«Sarebbe bello, sarebbe bello. Io non dico fino al 2032, però se lo stadio arrivasse in tre quattro anni… Io comincio a pensarci. Perché io sono duro a mollare».

Come ha trovato il centro sportivo di Assemini? Lei che portò i ragazzi anche a Monte Urpinu.

«Bellissimo. Sono passato a vedere il campo al Poetto dove mi allenavo. Questo è il mio campo, mi sono detto, vicino all’ippodromo. Il centro sportivo di Assemini è una meraviglia. Sembra un resort».

Quanti inviti a cena ha accumulato da quando è tornato a Cagliari? E quanto tempo lei ha, realmente, per gli amici, nella sua giornata?

«Diciamo che io sono molto casalingo. Ieri sera ho avuto la fortuna e il piacere di andare a salutare il mio primo presidente, Tonino Orrù. Mi ha fatto molto piacere incontrarlo».

E poi c’è il problema di dribblare le tentazioni della tavola.

«E infatti. Cerco sempre di stare a dieta, superdieta. Ho soltanto un giorno libero in una settimana per sgarrare».

Qual è, mister, lunedì? Dipende da quando si gioca?

«Se posso, la sera dopo la partita, sia che sia sia vinto che che si sia perso. Quando si perde non ci dormo… Anzi, è incredibile, mi succede questo. Quando perdo, mi si chiudono gli occhi subito. Quando vinco, l’andreanalina mi scorre. Evidentemente quando perdo non vedo l’ora di dormire affinché venga il giorno dopo per ricominciare a lottare e riportare tutto in corsa».

Ha avuto modo di sentire Gigi Riva?

«No, però sentirò ancora Nicola, il figlio, perché vorrei andare ad incontrarlo».

Gianfranco Zola – lei lo ha allenato 210 volte con due squadre, Napoli e Chelsea – era allo stadio per la “prima” del suo ritorno.

«Ci siamo abbracciati, mi ha fatto molto piacere salutarlo».

C’è un posto del cuore, per lei, in Sardegna?

«Ero rimasto affascinato dalla spiaggia di Chia. Vorrei tornarci presto».

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