In esilio da sei anni, costretti a giocare le partite casalinghe a Malacca, in Malesia, a 7mila chilometri da Damasco. Con 38 calciatori assassinati durante la guerra civile, 200 costretti a scappare, altri arruolati nell'esercito o rinchiusi in carcere dal regime, e, per finire, gli stadi usati come basi militari e depositi di armi.

Un movimento calcistico, quello siriano, messo in ginocchio da anni di guerra civile e dalle sanzioni della Fifa, che ha congelato i due milioni di euro destinati al calcio siriano. E che, nonostante tutto, è a un passo dalla qualificazione ai Mondiali del 2018 in Russia.

Sarebbe la prima volta che la nazionale siriana si qualifica alla fase finale dei Mondiali di calcio.

La partita decisiva, l'ultima del girone di qualificazione, si gioca domani a Teheran, contro l'Iran di Rohani, grande alleato di Bashar al Assad nello scenario internazionale e già matematicamente primo del girone.

Se la Siria vincesse, e la Corea del Sud che le sta due punti sopra non facesse altrettanto in Uzbekistan, sarebbe qualificazione diretta. Altrimenti si dovrebbe passare per le forche caudine degli spareggi.

Un risultato comunque eccezionale. Dietro il quale ci sarebbe la mano di Bashar al Assad, che sa bene come il calcio possa essere un ottimo strumento di propaganda.

Nel 2012 il presidente siriano ha ricevuto la squadra a palazzo, ha regalato a ogni calciatore un appartamento a Damasco, 1500 euro e un impiego garantito nel settore pubblico.

Ora manca poco per scrivere una bellissima pagina di storia, sportiva e non. E magari gli alleati dell'Iran domani potrebbero dare una mano.

Nella speranza di calcare i campi dell'altro grande alleato, la Russia di Vladimir Putin.

(Redazione Online/L)
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