Chi pratica l’atletica leggera e, in particolare il mezzofondo, lo sa bene: il salto di qualità arriva con pazienza, meticolosità, in seguito a delusioni, momenti difficili e grossi carichi di lavoro. In poche parole? Nulla si inventa ma tutto si costruisce con estrema abnegazione: il primatista italiano della maratona Iliass Aouani su questi principi ha costruito la sua carriera e il suo record di 2h07’16’’ siglato il 19 marzo a Barcellona ne è la piena dimostrazione. Iliass, tesserato per le Fiamme Azzurre, è un ragazzo di 27 anni il cui talento si è palesato in maniera evidente in una edizione di rilievo dei Tricolori Juniores su pista a Torino dove, all’epoca nella scuderia dell’Atletica Riccardi Milano, fece suo il primo titolo italiano di categoria sui 5000 con un ultimo 1000 in 2’43’’. Pettorale 86, sguardo deciso, indice puntato al cielo: quasi a voler dare un avvertimento che, a distanza di nove anni, si è tramutato in realtà. Da due anni trasferitosi in quella Ferrara tanto cara a Gabriele D’Annunzio, Iliass passeggia serenamente, rilassato e al contempo focalizzato sull'avvenire: proprio come quando era una promessa consapevole di avere dentro un fuoco sacro in grado di fargli fare la differenza.

 Aouani partiamo dal record italiano in maratona del 19 marzo:  quali erano le sue sensazioni?

«Ero reduce da un ciclo di allenamenti molto importante, sapevo di poter superare me stesso e di poter fare una prova efficiente. Ero consapevole del mio lavoro, ho corso con la massima concentrazione e attenzione sul mio corpo e sullo stare in equilibrio. Il record italiano non è altro che il frutto di un lavoro certosino quotidiano insieme al mio tecnico Massimo Magani».

Crede di valere un crono sotto le 2h07’’?

«Assolutamente sì, per un insieme di motivi».

Quali?

«La maratona di Barcellona non è velocissima, il percorso non è tra i più agevoli. Inoltre gli ultimi 12 km li ho corsi in solitudine, di cui gli ultimi 3 in salita: questi sono fattori che influiscono sulla prestazione di un atleta».

Lei viene dal mezzofondo veloce: quando ha capito che la maratona sarebbe stato il suo futuro?

«Da subito, sin da adolescente rispondevo meglio agli stimoli aerobici. Insomma, era il mio destino».

A proposito di mezzofondo veloce, lei nel 2012 prese parte ai Tricolori Allievi su pista dove la Sardegna vinse due titoli italiani con Raffaele Nonne sui 1500 e Alice Cocco sui 3000.

«Sì, a Firenze ricordo molto bene. Io feci i 2000 siepi ma mi ritirai, in quella gara un atleta sardo di nome Agostino Saba arrivò sesto mentre per l’appunto i 1500 li vinse Raffaele Nonne di Fonni un ragazzo di talento che ho saputo si fosse rimesso in gioco di recente. Sembra ieri ma sono passati già più di dieci anni».

Prima ha nominato Massimo Magnani: quanto ha influito nel suo percorso il passaggio con un tecnico del suo calibro?

«Massimo Magnani ha rappresentato la svolta della mia carriera, mi segue dal 2021 anno in cui mi sono trasferito a Ferrara. Oltre ad essere uno dei maestri più significativi del mezzofondo e del fondo dal punto di vista tecnico, ha una grandissima empatia: ha saputo guardare oltre, vedendo in me un potenziale che nemmeno io ero consapevole di poter sviluppare. Ha saputo motivarmi e spronarmi a fare meglio, aspetti fondamentali per un atleta».

Quanto conta per lei il confronto con gli altri fondisti azzurri come Eyob Faniel, Yohannes Chiappinelli e Yeman Crippa nella maratona?

«Tanto, questo è un periodo molto positivo per i maratoneti italiani. Con questi ragazzi ci conosciamo da tanti anni, c’è una rivalità stimolante ma sana e, soprattutto, grande rispetto reciproco. Tutti noi possiamo crescere tanto».

Che ricordo ha dei cinque anni trascorsi negli Stati Uniti dove ha conseguito la laurea triennale in Ingegneria Civile e la magistrale in Ingegneria Strutturale?

«Assolutamente positivo, per me è stata una esperienza estremamente formativa. Mi ha permesso di uscire dalla mia comfort zone, confrontandomi con una cultura diversa e con ritmi a cui non ero abituato. All’inizio ci sono delle difficoltà ma poi arrivano i frutti dei propri sacrifici».

Nel 2022 lei ha partecipato al Cross di Alà dei Sardi vincendolo. Che esperienza fu?

«È stata una giornata splendida, il cross di Alà dei Sardi è una delle manifestazioni iconiche della corsa campestre. L’organizzazione è impeccabile, l’accoglienza del popolo sardo magica, sono ancora in contatto con le persone che ho conosciuto un anno fa. Sarei voluto esserci anche quest’anno ma ero in piena fase di preparazione della maratona, spero di poterci essere il prossimo anno. Sarebbe un vero piacere».

A proposito dell’Isola, lei è amico di Gavino Bingio Garau uno dei maratoneti sardi più forti di sempre.

«Esattamente. Bingio è una persona d’oro, l’ho conosciuto quando mi sono trasferito a Ferrara perché è legato da un'amicizia profonda con il mio tecnico. Ci incontriamo spesso, ogni qual volta andiamo a Bologna per svolgere gli allenamenti collinari. Ho grande stima per Bingio, è davvero un uomo generoso e di grande altruismo».

Da chi è seguito durante gli allenamenti oltre al suo tecnico?

«Mi dà una mano Mauro Crivellini che mi segue in bici, è un aiuto molto prezioso e ci tengo a ringraziarlo per il supporto».

Quali saranno i prossimi obiettivi?

«Non abbiamo ancora stilato il programma per il prosieguo della stagione però sicuramente ci sarà un focus sui 10000 su pista».

Nel 2014 vinse il suo primo titolo italiano. Avrebbe mai immaginato che l’atletica sarebbe diventata la sua vita?

«Avevo appena conseguito il diploma, a quell’età è facile sognare. Certo, immaginarsi come il nuovo primatista italiano della maratona andava oltre le più rosee aspettative ma non c’è niente di impossibile. Bisogna rimanere concentrati, focalizzarsi sul proprio obiettivo e soprattutto avere pazienza: tutto arriva al momento debito».

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