Il profumo di un impresa senza tempo che non conosce declino, le grida dei tifosi assiepati ai bordi delle strade su erte mitiche e gremite, che risuonano perpetuamente nelle orecchie di un campione indimenticabile del ciclismo nostrano, uno dei più amati, combattivo e generoso tanto da meritarsi l’appellativo di ‘’El Diablo’’: Claudio Chiappucci, 59 anni compiuti il 28 febbraio, ricorda con un pizzico di nostalgia ed emozione quel magico 1992 in cui giunse secondo al Tour de France dietro l’imperscrutabile Miguel Indurain che mise in crisi con la vittoria sul Sestriere al termine di una lunga azione solitaria che lo vide trionfare in cima a una vetta epica della storia del pedale. Sempre disponibile e alla mano, contraddistinto da una tempra solida e da un piglio ironico e deciso, Chiappucci è legato alla Sardegna da un rapporto solido che affonda le sue radici alla fine degli anni Ottanta, quando era ancora un corridore emergente e affamato, pronto a dimostrare a tutto il panorama il proprio valore.

Chiappucci come nasce il suo rapporto con la Sardegna?

“Verso la fine degli anni Ottanta, ero molto giovane. A chiamarmi fu Gino Mameli , storico organizzatore di gare monserratino, che mi contattò per prendere parte a una prestigiosa prova di ciclocross da lui ideata. Quella fu la mia prima gara in Sardegna, successivamente presi parte al Giro di Sardegna, oltre che a  tante prove su pista così come ai circuiti: tanti momenti vissuti con intensità e che mi lasciano un ricordo stupendo’’.

A proposito di Giro di Sardegna, lei nel 1996 fu autore di un’azione che infiammò gli animi.

“Esattamente, era la prima frazione, una tappa che si svolgeva da Quartu a Quartu per un totale di circa 167 chilometri. Attaccai in salita, la gamba girava bene, la pedalata era buona. Mi sono trovato solo e ho deciso di insistere, rimanendo in avanscoperta per ottanta chilometri. Purtroppo, a tradirmi fu il vento contrario che mi fece spendere energie preziose causando la rimonta del gruppo. La tappa fu vinta da Zanette che precedette Baffi ma sono certo che se ci fosse stato meno vento avrei potuto portarmi a casa la vittoria’’.

Che ricordi ha delle gare affrontate nell’Isola?

“Magici, sono stati istanti bellissimi. I tifosi sardi sono speciali, genuini, diretti così come il sottoscritto. Stare a contatto con la gente mi è sempre piaciuto e poter dialogare con le persone a tu per tu a bordo strada è sempre stato uno degli aspetti più belli del ciclismo’’.

Cosa pensa del ritiro di Fabio Aru?

“Non ho avuto occasione di sentire Fabio in questi mesi, chiaramente mi dispiace tanto che abbia deciso di interrompere la sua carriera professionistica. Si tratta di un grande talento, gli ultimi anni non sono stati sicuramente facili sia dal punto di vista mentale che fisico ma nonostante ciò ha sempre mostrato massima serietà e impegno per ciò che faceva. La sua scelta deve essere rispettata e non posso che augurargli il meglio per la sua vita futura, è un ragazzo giovane e in gamba, sono sicuro che si toglierà belle soddisfazioni in ciò che sceglierà di fare’’.

Trent’anni fa la sua splendida vittoria sul Sestriere dopo oltre sei ore all’attacco da solo.

“Già, quella giornata ha superato le mie aspettative. Lì ho scoperto la mia forza mentale e ho compreso cosa significa superare i propri limiti. Sapevo di poter fare bene, volevo lasciar il mio marchio nell’unica tappa del Tour de France che arriva in Italia però non avrei mai detto sarebbe stato tutto così speciale, nel ciclismo non si può mai sapere come andrà a finire. Ho pedalato senza mai demordere, consapevole di dover dare il massimo per portare al termine una azione che rappresenta una delle pagine più belle del ciclismo di tutti i tempi’’.

Come vede il ciclismo attuale?

“È molto cambiato, sicuramente è tutto molto più digitalizzato e questo non è un bene. Manca l’istinto, quella poesia che ha sempre reso magico uno sport che non smette mai di stupire. I campioni sono tanti, si corre a ritmi elevatissimi, il talento di fuoriclasse come Tadej Pogacar è sotto gli occhi di tutti così come l’eleganza di un veterano come Alejandro Valverde che a 42 anni è ancora uno dei più forti al mondo, dimostrando  una continuità davvero incredibile. Spero che anche il ciclismo italiano possa trovare presto un nuovo corridore in grado di primeggiare nelle grandi corse a tappe: attualmente manca, ma sono certo che con il tempo l’Italia potrà contare nuovamente su ragazzi capaci di emozionare e dire la loro nei grandi giri, da sempre tra i momenti più intensi ed epici di una disciplina come il ciclismo che regala emozioni uniche’’.

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