L’arte del pedale trasmessa di padre in figlio, una concezione del ciclismo dove sacrificio e coraggio si amalgamano all'unisono dando vita a una tradizione longeva ricca di valore: Orlando Pitzanti è stato, insieme a Fabio Aru, l'ultimo professionista Sardo, figlio d'arte, cresciuto con i racconti delle grandi imprese grazie al nonno Orlando di cui porta il nome in onore e al papà Pietro, due figure importantissime per il movimento isolano che hanno rappresentato due esempi a cui guardare per maturare giorno dopo giorno. Pitzanti, ventunenne di Sestu, ha militato nella massima categoria nel 2019 e nel 2020 tra le file della D’Amico, dopo essersi distinto nelle categorie giovanili grazie alle sue doti di passista scalatore, abile anche nel ciclocross, dotato di un’ottima resistenza. Una resistenza che non è passata inosservata e che anche oggi, seppur il ciclismo non sia più l’aspetto principale della sua quotidianità, gli consente di intraprendere nuove sfide con la tenacia di chi sa cosa significa andare su e giù per arcigne erte e discese mozzafiato.

Pitzanti quanto è stata importante la sua famiglia per avvicinarsi al ciclismo?

‘’Moltissimo, il ciclismo è una questione famigliare che abbiamo nel sangue già dai tempi di mio bisnonno Pietro soprannominato Pierino. Io fino a 13 anni giocavo a calcio, andare in bici non mi interessava poi vedendo mio padre Pietro riprendere ad allenarsi e ricominciare a gareggiare ho cominciato ad appassionarmi sempre di più, sino a sentire un vero e proprio fuoco sacro che mi ha portato ad abbandonare il calcio scegliendo le due ruote’’.

Ricorda la sua prima gara?

‘’Sì, assolutamente. Si svolse i primi di aprile nel 2014 ad Olbia, arrivai settimo ma correndo all’attacco. Purtroppo, però, ebbi due incidenti meccanici che mi tagliarono fuori dal discorso vittoria’’.

A proposito di vittorie, quali ricorda con più orgoglio?

‘’Di sicuro, durante il mio secondo anno Juniores, la vittoria del Titolo Sardo dopo una sfida agguerritissima con Jay Cudoni, fu una sfida al cardiopalmo dove ebbi la meglio in volata. Gareggiammo a Ussana, c’erano tutti i miei famigliari e i miei tifosi, per me fu come vincere in casa e la soddisfazione fu enorme. Oltre le vittorie, ci sono comunque tante altre gare che ricordo con emozione’’.

Ad esempio?

‘’Sempre durante il mio secondo anno Juniores, in una gara prestigiosa a livello nazionale a Cevoli, ottenni un bellissimo terzo posto dietro Gabriele Benedetti – che ne 2021 ha fatto suo il Tricolore Under 23 nella prova in linea  – e il secondo classificato Giosuè Crescioli, due dei giovani più talentuosi del ciclismo italiano. Corsi all'attacco, il percorso era duro ma stavo bene e trovarmi a competere con corridori di quel livello fu una bella soddisfazione’’.

Quali i momenti più importanti tra i Pro?

‘’Sono stati due anni brevi ma molto intensi. Sicuramente, direi il Giro dell’Appennino nel 2019 una gara durissima che riuscì a terminare, nonostante avessi lavorato tutto il giorno per il mio capitano Jacopo Mosca. Una gara selettiva, oltre cento ritirati, con corridori di spicco come Mattia Cattaneo e Fausto Masnada che l'anno scorso è arrivato secondo al Giro di Lombardia dietro al campionissimo Tadej Pogacar. Un altro momento molto bello è stato il mio primo raduno d’inverno in Abruzzo, fu emozionante e mi fece comprendere ancora di più l'importanza di ciò che stavo facendo''.

Quanto è stato significativo per Lei avere Fabio Aru come punto di riferimento?

‘’Tantissimo, la storia di Fabio è una storia di rivalsa e talento, una vera e propria bandiera per noi ragazzi del Sud che ci troviamo ad avere a che fare con difficoltà notevoli: l'insularità, il dover affrontare lunghi viaggi per dover gareggiare, una serie di sacrifici importanti a cui non sempre si dà la dovuta importanza, come far combaciare lo studio con gli allenamenti. Quando mi trovai accanto a Fabio ai Tricolori su strada del 2019, vinti poi da Davide Formolo, mi sentii quasi realizzato: fu un orgoglio per me rappresentare la Sardegna accanto a un campione come Aru’’.

Si è pentito di aver terminato la sua carriera così presto?

‘’Un pizzico di rammarico c’è, mi domando sempre dove sarei potuto arrivare però non ci sto a rimuginare troppo, credo sia inutile. Ogni scelta presa rispecchia le esigenze di un determinato periodo e la vita, oltre l'agonismo, è fatta di tanti altri aspetti su cui concentrarsi e che possano regalare tante emozioni’’.

Quali sono i suoi nuovi obiettivi?

‘’Prima di tutto rimanere nell'ambito dello sport e diventare un competente preparatore atletico. Attualmente sto lavorando da Decathlon nel settore del ciclismo, poi sono diventato anche un personal trainer. Inoltre frequento il secondo anno della facoltà di Scienze Motorie. Insieme alla presidente della Sestu Bike Carola Lai e al dirigente Efisio Muscas ho fondato la  scuola di ciclismo a Sestu, di cui sono diventato direttore sportivo insieme a Nino Puddu.  Nonostante gli impegni e gli alti e bassi della vita di tutti i giorni, continuo a pedalare anche tre volte alla settimana almeno 70 chilometri: il ciclismo farà sempre parte della mia vita e spero di poter aiutare a trasmettere questa passione a chiunque vorrà avvicinarsi a una disciplina magnifica quale l'andare in bici è sin dagli albori’’. 

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