Sean Penn: il premio Oscar si schiera contro l’Academy in nome delle diversità e delle differenze culturali
Per l’attore «ha contribuito a limitare l'immaginazione e le diverse espressioni culturali»Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Sappiamo bene quanto Sean Penn sia una figura di riferimento nel contesto del cinema internazionale. Portato ad indagare fin dagli esordi la dimensione umana senza temere il senso del pudore o scadere nel buon costume, il divo americano ha incarnato ruoli rimasti impressi nella celluloide come nelle menti dei più incalliti cinefili: dall’avvocato corrotto David Kleinfeld di “Carlito’s Way” al tormentato Jimmy Markum di “Mystic River”, fino all’indimenticabile Harvey Milk conosciuto in “Milk” di Gus Van Sant, vincendo il secondo premio Oscar come miglior attore protagonista. Oltre alle notizie scandalistiche sulle passate relazioni sentimentali, dalla sfuggevole frequentazione con Madonna alla rottura dolorosa con l’ex moglie Robin Wright, Penn non ha mancato occasione per affrontare con sguardo critico il mondo della settima arte, evidenziandone le criticità più evidenti e gli aspetti che necessitano di un progressivo cambio di rotta.
In un’intervista al New York Times, l’attore è tornato a parlare dell’esperienza vissuta in “Milk”, descrivendola come «l’ultima volta in cui mi sono divertito» e confessando di aver trascorso subito dopo quindici anni d’infelicità sul set: «Facevo finta di essere in grado di affrontare la situazione ed era estenuante. La maggior parte delle volte pensavo: che ora è? Quando finiamo?... Ero sicuro che fosse finita, ma non sapevo come avrei fatto a pagare la mia casa o a viaggiare liberamente o cose del genere se mi fossi fermato». Parte di questa insoddisfazione, secondo Penn, è dovuta al modo in cui è cambiata Hollywood nel tempo, ad esempio sul fatto di assegnare sempre meno ruoli omosessuali ad attori etero. Sulla questione, ha sostenuto in modo tranciante: «È un'epoca di tremenda tracotanza. È una politica timida e priva di arte nei confronti dell'immaginazione umana». Le stesse argomentazioni han trovato spunto durante una puntata del podcast di Awards Chatter per il The Hollywood Reporter. In questa sede, Penn afferma di ritenere improbabile oggigiorno un’opportunità di lavoro come quella capitata nel 2008, poiché l’industria cinematografica - come detto - ha mutato approccio sul tema delle diversità e sulle relative scelte di casting. In diretto contrasto, ha aggiunto: «Sono totalmente d'accordo con qualsiasi industria, compresa quella cinematografica, che si confronta con il problema della scarsa diversità. Non c'è nessuno, di qualsiasi genere, etnia o stile di vita alternativo, che non mi interessi se ha una storia nel cuore che vuole raccontare».
Oltre alle critiche, la star suggerisce indirettamente una soluzione al problema: «Quello che so è che la soluzione non è limitare il casting di Amleto ai principi danesi. Non è soltanto un attacco all'immaginazione, che è il nostro pane quotidiano ma è anche la dimostrazione di una mancanza d'immaginazione di chi lo richiede. Trovo culturalmente offensivo, venale e triste che sia questa la soluzione facile per chi segue il pensiero comune». Più di recente, in occasione del premio alla carriera ricevuto al Marrakech Film Festival, l’attore ha riaperto la discussione puntando il dito contro l’Academy, tacciata di aver favorito una politica limitante nei confronti delle differenti e libere espressioni culturali. Durante la conferenza stampa, ha dichiarato: «L'Academy ha dimostrato una codardia davvero straordinaria quando si è trattato di far parte del più ampio mondo dell'espressione e, di fatto, ha contribuito in larga misura a limitare l'immaginazione e a limitare in modo notevole le diverse espressioni culturali. Non mi entusiasmo molto per gli Oscar tranne quando ci sono film come The Florida Project, o I'm Still Here, o Emilia Perez, o le cose che probabilmente accadranno in questo anno». Riferendosi poi ai titoli meritevoli d’attenzione, ha citato “The Apprentice” di Ali Abbasi, definito un film grandioso e con una recitazione incredibile; ma anche “September 5” di Tim Fehlbaum, riconosciuto come «una prospettiva che non ho mai visto, o che non abbiamo visto in precedenza».