Giancarlo Magalli è tornato in tv dopo mesi d’assenza, ospite di Silvia Toffanin a Verissimo.

Dimagrito di 24 chili, porta addosso i segni della sua dura lotta contro il linfoma, da cui è «guarito» e si sta «riprendendo un po’ alla volta».

«Tutto è iniziato meno di un anno fa – ha raccontato –, sentivo un dolore quando andavo a letto la sera e sono andato a fare degli accertamenti. I medici hanno visto qualcosa che non li ha convinti molto e, quando avevamo in preventivo degli ulteriori esami, ho preso di colpo un’infezione, anche abbastanza seria». 

Febbre a 40 e «delirio», ha detto lo storico conduttore Rai a Silvia Toffanin. Una delle figlie era a casa e ha chiamato l’ambulanza: «Così sono stato portato in ospedale, mi hanno curato per l’infezione. Avevo delle visioni e, forse sotto l’effetto dei farmaci, facevo cose che non avrei dovuto fare. Una sera mi sono strappato i cateteri che avevo addosso, sentivo i sanitari dire che mi avrebbero dovuto legare al letto».

A quel punto, ha continuato Magalli, «è successa la prima delle cose belle in questa vicenda, le mie famiglie (Magalli ha due matrimoni alle spalle, ndr) si sono mobilitate e hanno fatto dei turni per vegliare su di me tutta la notte».

Passata l’infezione, dai successivi accertamenti è venuto fuori che Magalli aveva un linfoma attorno alla milza: «È un tumore – ha specificato nel salotto di Canale 5 – ma di quelli che si possono curare. Me lo hanno detto subito che ci sarebbe voluto qualche mese ma che era curabile, e infatti ora sono guarito, non ce l’ho più». In realtà «alle mie figlie hanno detto: ‘Se si cura guarisce, se non si cura tra due mesi muore’, erano terrorizzate, ma a me non l’hanno detto, mi hanno solo accudito con maggiore affetto e attenzione».

Ci sono voluti «sette mesi tra ricoveri a casa e fuori casa, la fisioterapia, persone che mi dovevano stare vicine per le iniezioni e le pasticche, non è stato facile».

Ora sta bene: «Ho ripreso le mie attività normali. Sto facendo una terapia leggera, una rifinitura. Non ho più problemi a camminare, a mangiare e dormire, non prendo più quasi nessun farmaco».

I colleghi? «Non si sono affollati, chi si è preso i miei programmi aspettava che non mi rimettessi in piedi. Gli amici mi sono stati vicini, altri meno amici non si sono fatti vivi, ma chi se ne frega».

Un ritorno in Rai? «Aspetto che si facciano vivi, la Rai è la Rai, ci lavoro da più di 50 anni e la conosco bene, so quali sono i suoi limiti. Quando, tempo fa, dissi che la riconoscenza non era proprio il forte della Rai ero un po' arrabbiato. Ma è anche abbastanza vero. Il fatto è che la Rai non è una persona, non è un capo con cui hai un rapporto buono o cattivo. Cambia continuamente. Ti trovi a parlare con persone diverse. Ci sono quelle che ti stimano, quelle che non ti stimano, quelle che non vedono l'ora di farti lavorare e quelle che non vedono l'ora di far lavorare un altro».

Infine: «Ho scritto a Coletta, il nostro direttore, tanto per fargli sapere che ero vivo e vegeto, che stavo bene, nella speranza che si riesca a ricostruire qualcosa. Gli converrebbe. Tutti i programmi che ho lasciato con la malattia e che hanno dato a qualcun altro sono andati così così».

(Unioneonline/L)

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