Gianna Nannini torna prepotentemente sulle scene con un nuovo album, "La differenza", e a pochi giorni dal lancio sceglie di raccontarsi in una lunga intervista pubblicata come storia di copertina su "Vanity Fair".

Un lungo racconto, in cui l'artista mette a fuoco alcuni passaggi poco noti della sua vita, e caratterizzati da un comune denominatore: quel bisogno, che ha accompagnato la giovinezza e poi l'età matura, di trovare un posto nel mondo, affrancandosi da quella sofferenza che l'amore spesso provoca e che è stata fulcro della sua ispirazione, così come di tanti difficili episodi.

Nel suo racconto Gianna parte da lontano, e cioè da quando a 14 anni fu per primo Mike Bongiorno a credere in linea: "Questa ragazza ha qualcosa", avrebbe spiegato il conduttore in un concorso di voci nuove.

Poi la giovinezza a Milano, in fuga da un destino scritto nella sua Siena e nel laboratorio di pasticceria di papà.

La cantante racconta come fosse allora difficile anche mantenersi, e come fosse sua abitudine, per sbarcare il lunario, posteggiare la macchina avuta in dono dal padre con l'autoradio in bella vista sul sedile del passeggero. "Ogni tre mesi qualcuno regolarmente spaccava il vetro – spiega - e io incassavo felice i soldi dell'assicurazione".

Poi il racconto dei primi amori, e di quel canone estetico cui lei apparteneva – "brutta, il naso lungo, le tette che di diventare grandi non volevano proprio saperne", spiega – e che non corrispondeva certo con quello allora in voga.

E poi le solite domande: "Ami gli uomini? Ami le donne?". "A me – racconta - le divisioni, a partire da quelle di genere, non mi hanno mai interessato granché". E "al termine 'coming out' – aggiunge - che ghettizza, ho sempre preferito la parola libertà. Alla parola gay, che ti pretenderebbe felice e ormai non usano più neanche in America quando indicono un pride, preferisco frocio. Chi è libero nel linguaggio è libero dentro".

Poi una parentesi sul periodo più buio della sua vita, quello offuscato dalle droghe.

"Tranne l'eroina, le ho provate tutte", confessa. "Dalla cocaina, per un po' di tempo, quasi quarant'anni fa, sono stata dipendente. Ero a Londra e ce la portavano in studio con la stessa semplicità con cui oggi ti consegnerebbero un panino. Non stavo mai senza, ci viaggiavo, ero del tutto incosciente".

Poi la svolta: "Un giorno vado in bagno – spiega - e mentre scarto il sasso rosa, quello mi cade nel cesso. Lo vedo sparire nell’acqua e, mentre si scioglie lentamente e sto per metterci le mani dentro, mi dico: ‘Non posso fare questa cosa, non posso ridurmi così’. Ho smesso lì".

(Unioneonline/v.l.)
© Riproduzione riservata