Nel 2014 moriva Francesco Di Giacomo, musicista poliedrico e voce del Banco del Mutuo Soccorso, nato a Siniscola nel 1947. Oggi, a cinque anni di distanza, esce l'inedito "La parte mancante".

L'occasione per ricordare la sua musica e la sua vita. Lo facciamo con Paolo Sentinelli, che ha realizzato il disco proprio con Di Giacomo.

Com’è nata la collaborazione con Francesco?

"È nata proprio nel 2003/4 quando io ho prodotto, insieme a Vittorio Nocenzi, il disco del Banco ‘No Palco’. Li con Francesco abbiamo iniziato a vederci sempre per la copertina, per le interviste radio che andavamo a fare, io accompagnavo lui in qualità di produttore. Dopo di che abbiamo cominciato a vederci, a parlare e abbiamo cominciato a scrivere insieme in modo del tutto naturale. Prima era un’abitudine vedersi e questa abitudine si è trasformata in una necessità di incontrarsi e vedersi per fare tutto quello che ci andava. Passeggiavamo tra i nostri pensieri e da questi dialoghi io prendevo appunti e con questi appunti poi tornavo a casa, facevo le melodie sopra poi tornavo e completavamo gli scritti e la musica".

Da un rapporto professionale a un rapporto d’amicizia…

"Soprattutto un rapporto di amicizia. C’era proprio questa necessità di vedersi almeno una volta a settimana, di stare insieme, mangiare e raccontarsi. Poi il fatto che io sono un musicista, lui un grande autore nonché un grandissimo cantante con una capacità d’interpretare incredibile, strepitosa. Da lì abbiamo cominciato a scrivere. Questo che abbiamo scritto era senza censura, liberi proprio da quello che ci usciva, senza stare a pensare ‘adesso questo diventa un pezzo famoso, questo lo facciamo diventare..’ proprio libero, senza compromessi".

Nella musica di Francesco è sempre emersa quella libertà artistica slegata soprattutto da certi schemi convenzionali…

"Nei testi c’è proprio questa parte di Francesco. Lui ha coniato dei termini: ‘ingenialità’, ‘noi siamo così signoribili’. Ci sono anche dei testi abbastanza pesanti, intimi dal punto di vista dell’intensità, ripeto, senza censura: vuoi dire questo lo dici. Punto".

"Quando avete iniziato a lavorare a quello che oggi è diventato un disco?

"Nel 2004 abbiamo iniziato a scrivere delle primissime cose, poi nel 2005 abbiamo scritto ‘La Bomba intelligente’, nel 2006 ‘Insolito’ e altre cose. Per dieci anni ci siamo tenuti tutto dentro, ogni tanto facevamo dei concerti pianoforte e voce, abbiamo fatto anche l’Auditorium di Roma con Cenerentola che è un testo scritto da Francesco. Volevamo pubblicare perché tutti ci dicevano ‘ma che belle ste canzoni, ne fate un disco?’ e noi ‘si, vabbè’. Per noi era una nostra esigenza più che quella di avere la visibilità, lo show business, non ci interessava proprio. Per questo dico che è un disco puro, perché nasce proprio per la voglia di farlo e non legato a chissà quale logica commerciale. Avevamo deciso di pubblicare, poi è successo quello che è successo e per cinque anni siamo stati in silenzio perché c’è voluto del tempo per rielaborare. Non si poteva fare subito e non eravamo in grado, né io né Antonella, di pubblicare questa cosa. Abbiamo preso il nostro tempo per rielaborare un lutto importante. Un lutto non artistico, un lutto in ogni senso".

Nel disco si respira un sapore casalingo, intimo. Che ricordi hai in merito alle prove a casa di Francesco? "Le nostre prove erano parlare. Pensa, quando andavamo sul palco che facevamo lo spettacolo pianoforte e voce, lui mi diceva ‘facciamo la scaletta’ e io gli dicevo ‘ma che la facciamo a fa la scaletta’, alla fine si era talmente abituato che noi decidevamo qual’era il primo brano, poi vedevamo il pubblico com’era, i dialoghi che curva prendevano, l’evoluzione dello spettacolo e questo era bellissimo. C’era proprio la massima libertà, quella di salire, aprirsi alle emozioni e seguire solo quelle. Nel disco si sente proprio questo. E’ un disco molto intimo, fatto proprio per lo scambio dei nostri pensieri, delle nostre emozioni, sia a livello politico, sull’amore".

Qual’è la grande eredità artistica lasciata da Francesco?

"Al di là di quello che ha scritto, che comunque ha sempre scritto secondo me dei capolavori. La grande eredità è la grande umanità che quest’uomo trasmetteva ogni volta che tu lo incontravi. Lui era una persona rassicurante. Questo senso di umanità, di calore che lui ti trasmetteva. Per chi l’ha conosciuto. Per chi non l’ha conosciuto ci sono dei testi che se leggi bene ognuno può fare propri. Sono secondo me bellissimi. Restano queste emozioni che lui è riuscito a mettere su carta".

C’è una canzone sua a cui sei particolarmente legato?

"Di questo disco tutte. Ogni canzone è un momento della vita nostra, delle nostre emozioni. ‘La parte mancante’ per esempio, spesso parlavamo del fatto che ognuno di noi ha una parte mancante. Quando lui racconta questa parte mancante, è un momento di solitudine dell’uomo. E’ una riflessione sul fatto che poi non ci era congeniale, come a molti, stare dove tutti invece in quella zona mortale ci sono. ‘Insolito’ è una canzone d’amore, come dovrebbe essere l’amore in una relazione. Nel Banco sono legato tantissimo a ‘Moby Dick’, che tra l’altro la facevamo pianoforte e voce e lui leggeva il testo di Melville. Sono legatissimo a ‘750.000 anni fa…l’amore?’. Il testo che ogni volta mi sdraia è “E mi viene da pensare”, quello è un testo che lo trovo attualissimo, dovrebbe stare nei testi di scuola, nei libri di letteratura perché è un testo bellissimo".

Angelo Barraco
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