Astrid Meloni, la sassarese nel cast di “Freaks Out”: “La scena d’amore con Santamaria? Una coreografia”
Trentanove anni, una laurea in Psicologia e un diploma al Centro sperimentale cinematografico di Roma: “Per lavoro ho perso l’accento ma non le mie radici sarde”
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A sentirla parlare non si direbbe che Astrid Meloni sia nata a Sassari e abbia vissuto lì fino a 18 anni. “E invece sono proprio di Sassari”, garantisce lei. Sarà per la sua perfetta dizione, frutto di un lungo, necessario ed estenuante lavoro al Centro sperimentale di Roma dove è decollata la sua carriera di attrice: “E sono cresciuta in campagna, a Bancali”, tiene a precisare come per sottolineare che le sue radici sono salde in Sardegna.
Oggi trentanovenne, ricorda ancora quando da bambina la mamma – appassionata di cinema e di letteratura – la portava a vedere film a dir poco impegnativi per la sua età: “Rassegna di film curdi, oppure ‘Morte di un matematico napoletano’, sul suicidio di Renato Caccioppoli: avevo otto anni”.
All’epoca, spiega a L’Unione Sarda, la magia del cinema era solo una suggestione, una scintilla, che da qualche parte però stava cominciando a sedimentare. L’inizio di un cammino che l’avrebbe portata alla sua ultima importante apparizione, nelle sale in questi giorni, con “Freaks Out” per la regia di Gabriele Mainetti, David di Donatello nel 2016 come Miglior regista esordiente per “Lo chiamavano Jeeg Robot”.
In mezzo, “Il delitto di Via Poma” di Roberto Faenza, “Storia di Nilde” di Emanuele Imbucci, mentre è in uscita “Face à toi” di Stephane Freiss con Riccardo Scamarcio. E sono in lavorazione la serie internazionale “The Swarm” di Luke Watson e Barbara Eder, “Ipersonnia” di Alberto Mascia con Stefano Accorsi, e la serie Netflix “Home for Christmas”, remake di una serie scandinava.
Insomma un periodo prolifico, “ma non è sempre così, anzi: il nostro è un lavoro altalenante, bisogna mettersi sempre in discussione. Ho fatto lavori di tutti i tipi prima di arrivare qui: barista, autista, baby sitter, commessa. Ora comincio a raccogliere i frutti”.
Ha anche una laurea in Psicologia clinica...
“Mi sono trasferita a Roma a 18 anni per seguire quel corso. A un certo punto però ho cominciato a bigiare le lezioni per andare alle lezioni del Dams. Pian piano ho iniziato a capire che cosa volevo davvero... Mi sono laureata comunque, poi ho scoperto il Centro sperimentale, unica scuola di cinema in Italia. Ho fatto il provino con tutta la determinazione e la forza che ho. Ma, detto sinceramente, non avrei mai pensato di riuscire a entrare”.
Perché?
“Venivo da Sassari, non conoscevo nessuno. Avevo iniziato relativamente da poco a studiare. Mi dicevo ‘Con tutta la gente che sogna di recitare da quando era piccola, devono prendere proprio me?’. E invece è andata così. Quello è stato il turning point”.
Dopo il Centro sperimentale è arrivato il teatro.
"Per anni ho fatto lunghe tournée nei palchi più belli d’Italia, dal Teatro di Sardegna allo Stabile di Torino. Qui nel 2018 ho lavorato con il direttore del Burgtheater di Vienna, Martin Kusej, al fianco di Paolo Pierobon, Anna della Rosa, Fausto Russo Alesi: una delle più belle esperienze della mia vita. Ma in generale, con la valigia in mano, ho conosciuto persone meravigliose. Voglio ricordare Reza Kerhadmand, un regista iraniano cui devo molto e che è venuto a mancare due anni fa. Era uno dei miei migliori amici, a lui devo praticamente l’80 per cento di quello che so”.
Il mondo dello spettacolo ha pagato un prezzo salatissimo durante la pandemia.
“Purtroppo il nostro è un Paese che non lascia molto spazio alla cultura e non la sostiene. Facciamo un lavoro meraviglioso ma non abbiamo tutele: non prendiamo la disoccupazione, se sei incinta difficilmente riesci a lavorare perché l’assicurazione non copre la gravidanza. E quando il figlio nasce sei praticamente fregata. Per questo ringrazio tutte le associazioni, come Artisti 7607 o Unita, che hanno dato voce alle istanze della nostra categoria”.
Ora è un momento di ripresa?
"Sì ma molto al rallentatore. Anche perché la situazione finora è stata gestita in modo aberrante, dalla decisione di riaprire gli stadi e non i teatri, alla ridotta (fino a poco tempo fa) capienza per cinema e teatri. Un messaggio sbagliato: la gente pensava che quelle strutture fossero pericolose o comunque meno sicure di stadi e palazzetti sportivi”.
Anche l’uscita di “Freaks Out” ha subito ritardi su ritardi.
"Era un film che aveva bisogno del cinema quindi è stato necessario aspettare. Ogni uscita probabile coincideva con nuovi lockdown”.
Ma finalmente è arrivato in sala ed è stato un successo.
"Per me, che all’epoca non lavoravo molto, è stato un miracolo essere in quel film così importante. Dal regista Gabriele Mainetti si aspettavano grandi cose. E’ una persona geniale, meravigliosa, umana: in questo lavoro mette una passione incredibile”.
Lei interpreta la “donna scimmia”: quanto tempo ha richiesto quel trucco?
"Almeno tre ore: un trucco lungo, faticoso ma anche divertente. Come tutto su quel set”.
Qualche dietro le quinte sulla scena d’amore con Claudio Santamaria?
"Innanzitutto in scene simili il set è ridotto. Io poi conoscevo Claudio da prima, è una persona molto rispettosa e non si è creato alcun imbarazzo… Non c’è nulla di erotico e non c’è alcun contatto. Anche perché lui indossava una tuta e il mio trucco prevedeva delle retine da applicare a pezzi sul viso e sul corpo. Le scene di sesso sono una coreografia, con tutti i movimenti prestabiliti. Ricordo che avevo provato questa scena con un amico”.
Ha perso completamente l’accento sardo...
“E’ stato uno sforzo incredibile ma necessario per il mio lavoro. La dizione è il tuo modo di comunicare, non c’è un tasto di accensione o spegnimento. Confesso che, con questo nuovo accento, è stato difficile anche tornare nel mio mondo d’origine, in Sardegna. Era come essere una nuova me, e gli altri mi vedevano cambiata. Avverto tuttora un po’ il giudizio sul fatto di aver perso l’accento, come se avessi perso le mie radici, ma così non è”.
Ma il sardo torna?
"Il sardo non va mai via. Ho fatto uno spettacolo con lo Stabile di Sardegna in barbaricino. E l’ho recuperato senza problemi. Per me è un valore aggiunto”.
Viene spesso in Sardegna?
“Certo, è lì che vive mia madre. Ma sono anche legata artisticamente all’Isola: proprio durante il Covid abbiamo dato vita a un progetto prodotto da Sardegna teatro, ‘Amori difficili’, che abbiamo portato a Cagliari, a Sant’Elia, e a Fluminimaggiore. La Sardegna resta nel mio cuore”.