La passione tra un uomo perennemente in fuga e una donna che sente l'irresistibile richiamo verso quest'ombra: è la "Lucia di Lammermoor" di Denis Krief, che di ombre ha vestito il suo ormai storico allestimento.

Venerdì sera, il capolavoro romantico di Gaetano Donizetti è tornato a Cagliari per la terza volta, nell'allestimento del Teatro Lirico che valse al regista italo-tunisino il premio Abbiati, ed è stato ancora una volta un successo. Non c'era l'inarrivabile Mariella Devia, né, al suo fianco, il Marcelo Alvarez del 2000 o il Giuseppe Sabbatini del 2004. C'erano due giovani cantanti, il soprano Gilda Fiume, allieva di Devia, e il tenore Matteo Desole, sassarese, che ha egregiamente sostituito con l'impeto dei suoi 27 anni l'indisposto Roberto Debiasio.

Ripetutamente applauditi entrambi (per la scena della pazzia, protagonisti il soprano e il flauto di Riccardo Ghiani, i signori dell'orchestra hanno battuto i piedi sull'impiantito), sono stati chiamati a dar corpo e anima a una storia d'amore giocata sull'assenza. Come sull'assenza è giocata la regia.

Il niente è troppo, ama dire Krief, che ama la sottrazione ed è, a suo modo, fedele al libretto. Così, quel tulle nero che funge da sipario è anche il segno della distanza tra Lucia e il resto del mondo, fino a diventare il limite della pazzia: la sua o quella degli altri?

Giocato su colori freddi, angoli acuti, pannelli che sembrano ghigliottine, l'allestimento propone in un video il mare ondoso di Scozia, eterno richiamo per Edgardo: in realtà è quello di Calamosca, catturato in un giorno di vento.

Per il resto, l'opera si nutre di accenni, sguardi, simbolismi: la caserma è il potere maschile (belli i soldati vestiti come i cadetti della Nunziatella). La sala biliardo dove si certifica lo sciagurato patto matrimoniale tra la ragazza e Lord Arturo Baclaw evoca una cinica superficialità.

Nata in pieno Romanticismo, l'opera di Cammarano-Donizetti si ispira al romanzo di Sir Walter Scott, scritto nel primo Ottocento e ambientato cent'anni prima. Il regista colloca la storia in un'epoca identificabile col finire dell'Ottocento, in realtà senza tempo. Del Romanticismo evoca il manifesto artistico: il "Viandante sul mare di nebbia" di Caspar David Friedrich. Edgardo indossa un cappotto simile, e come lui dà spesso le spalle al pubblico, e a Lucia. Innamorato, ma perennemente lontano, è l'unico a non esibire una divisa, in quest'opera che denuncia lo strapotere maschile: quello di lord Enrico Ashton, mortale nemico di Edgardo, che per i suoi interessi "vende" la sorella; quello di Raimondo Bidebent, il prete-precettore che, anticipando per ipocrisia Giorgio Germont, la esorta per il bene di tutti al sacrificio.

Lucia, alla cui sete di felicità che sfocia in follia tanto deve Emma Bovary. Chissà che cosa avrebbe detto, l'inquieta eroina del romanzo di Flaubert, di quella panchina che domina la scena. Lì i due innamorati si scambiano gli anelli, lì lei dimentica lo scialle, per poi riprenderlo in mano, prima di perdersi nel buio della sua mente. Su quella panchina, prima di togliersi la vita, Edgardo poserà il cappotto, avvolgendo in un ultimo tenero abbraccio lo scialle dell'amore perduto.

Maria Paola Masala

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