“ACAB - La serie”: Michele Alhaique affronta il tema della conflittualità e sfida gli spettatori distratti
Sei puntate ispirate all’omonimo film di Stefano Sollima per raccontare gli attriti tra malcontento civile e forze dell’ordineIl cast (Foto Netflix)
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Dal film del 2012 di Stefano Sollima e dalla sua rivoluzione che - nel cinema come nella serialità - ha portato ad affrontare l’Italia criminale con uno sguardo di sorprendente realismo, prende spunto la serie televisiva in onda su Netflix “A.C.A.B. La serie”, prodotta dal regista romano e diretta da Michele Alhaique, anche ricordato per le sue frequenti apparizioni sul grande e piccolo schermo.
Come avvenuto per la precedente versione su pellicola, conservandone lo stesso sguardo rude e diretto, lo show è un adattamento dell’omonimo romanzo di Carlo Bonin, con un cast che accoglie e vecchi e nuovi volti tra cui Adriano Giannini, Marco Giallini, Valentina Bellè, Julia Messina e Francesco Buttironi. Mantenendo intatto lo spirito di Sollima nel filmare e raccontare le storie - che ha fatto la fortuna di produzioni come “Romanzo Criminale”, “Gomorra” e “ZeroZeroZero” - “A.C.A.B. La serie” abbatte in sei intensi episodi i limiti del prodotto mainstream, con un approccio all’inverso che riadatta le peculiarità del genere crime per associarle a un punto di vista ardito e originale.
A undici anni dalla controparte cinematografica, lo show muta prospettiva sulle problematiche sociali: senza raccontare come in passato il mondo degli ultras, i personaggi affrontano nuovi meccanismi psicologici e conflittualità che rispondono all’impellenza del momento presente.
Ancora una volta, in “A.C.A.B. La serie” riemergono gli attriti fra il malcontento civile e le forze dell’ordine. Dopo una serie di disordini in Val di Susa durante le proteste per il No Tav, la squadra mobile del reparto di Roma si troverà a fare a meno del suo leader rimasto gravemente ferito. La sezione del gruppo più incline alla violenza punitiva - di cui fanno parte Mazinga, Marta e Salvatore - dovrà adattarsi alla linea morbida del sostituto Michele Nobili, che spinto dai suoi ideali intende instaurare un approccio progressista e meno soggetto all’uso del manganello da parte del nucleo operativo.
Come spiegato dallo scrittore e sceneggiatore Carlo Bonini durante l’anteprima stampa, “A.C.A.B. La serie” verte ancora una volta sui conflitti, partendo dall’espressione di sentimenti umani come la rabbia e il disorientamento in un contesto di violenza per favorire un giudizio fuori da qualsiasi schieramento o preconcetto: “I conflitti sono rimasti gli stessi: sono temi universali che attraversano qualsiasi società democratica. Come il monopolio della forza. L'idea di poter esplorare questo attraverso un racconto seriale era quindi interessante: capovolgere il punto di vista. Volevamo consegnare al pubblico un racconto che potesse mettere in discussione le idee di tutti. Nel 2008, quando scrissi il libro, la polizia italiana era reduce dal caso Diaz di Genova. Riprendere ora la polizia, dopo un certo percorso, ma in un contesto politico diverso, è stato divertente”.
Intervenendo su questo aspetto in veste di produttore esecutivo, anche Stefano Sollima ha tenuto a sottolineare l’importanza di una narrazione che non induca a improprie strumentalizzazioni o luoghi comuni: “L'attenzione è sul punto di vista del racconto. Dovevamo concentrarci sul racconto dei personaggi, senza mai giudicali. Non bisogna mai forzare il pubblico, bensì bisogna accompagnarlo, facendo delle domande giuste. E più le domande sono complicate, più una serie funziona. E poi l'aspetto migliore di ACAB è la sua attualità”.
Dopo il suo esordio come director in “Senza nessuna pietà” del 2014, Alhaique torna dietro la cinepresa con un risultato che, anche nella sua elaborata composizione, accoglie varie tipologie di pubblico. Un punto fondamentale del processo creativo è stato quello di creare la giusta atmosfera, come affermato in una recente intervista: “Volevo ricreare quell'atmosfera onirica, deserta, e surreale. La notte dell'ultimo dell'anno. Con un rimando ad atmosfere tensive, pensando per certi versi a Distretto 13: le brigate della morte di Carpenter. E l'attesa iniziale ce la siamo inventata con gli attori. Un attesa del pericolo, per un cerchio che si chiude. Ho voluto dilatare quel momento”. E sfuggendo alle normali offerte del servizio streaming con un prodotto insolito, ovvero una sorta di film diviso in sei puntate, il regista ha svelato cosa distingue la serie dalla concorrenza: “Lavoro al contrario. Quello che mi attrae è il mistero. E la serialità è strutturata per cadenzare il mistero. Il mistero è fondamentale nel racconto. Oggi c'è questa tendenza che vomita tutte le informazioni, ma questo rende arido il racconto. Diverso, fare un racconto tale in grado di tenere alta l'attenzione. Come? Attraverso il mistero. Una sfida gigantesca, con un rischio alto di fallire”.