C’è una cronista sarda nella squadra internazionale di reporter e attivisti per i diritti umani che tengono l’attenzione accesa sulla sorte di Julian Assange, cofondatore e caporedattore di Wikileaks. Il 51 enne australiano ha divulgato nel 2010 documenti top secret sui crimini di guerra commessi da Usa e alleati in Iraq e Afghanistan. Per questo è agli arresti nel Regno Unito e rischia di essere estradato negli Usa, dove, in base all’Espionage Act del 1917, potrebbe finire la sua vita in carcere.

La posta in gioco

«Non è in discussione il futuro del singolo Assange, ma la libertà di stampa», ammonisce Sara Chessa. Nata a Desulo nel 1983 in una famiglia di insegnanti, adolescenza a Iglesias, laurea a Cagliari, vive a Londra dal 2016. Giornalista free lance ma anche attivista nel regno dei fatti separati dalle opinioni. «È un principio che tengo ben fermo: i fatti sono sempre in primo piano. Ma anche le opinioni devono essere raccontate. In democrazia i cittadini devono poter fare scelte informate». E la missione del giornalismo libero «è di aiutare il pubblico a capire la realtà». Nel caso Assange, che Sara segue da cronista giudiziaria per Independent Australia e altre testate, la realtà è crudele. «Un giornalista rivela verità scomode e rischia l’estradizione in un Paese i cui i servizi segreti, come emerso in uno dei processi, hanno valutato in che maniera e dove ucciderlo». Il pericolo che incombe su Assange pesa su altri colleghi che fanno giornalismo investigativo, «sulla loro volontà di indagare su casi difficili, di contattare le fonti».

Il percorso

Radici in Sardegna e sguardo sul mondo. I diritti umani sono il territorio di lavoro che Sara Chessa ha scelto all’Università di Cagliari. Laurea in Scienze politiche e specializzazione con ricerca sul campo nel Kosovo multietnico e multireligioso. «Mi colpiva la volontà dei kosovari di entrare nell’Unione Europea. Pensavo, dobbiamo renderla più democratica per accoglierli… Il sogno è ancora in corso».

Mentre studia, Chessa scrive per piccole testate online e radio private. Nel 2011 si trasferisce a Cremona, per addentrarsi in un cammino di ricerca interiore che dura tuttora: ha fondato a Londra un centro di meditazione. In Lombardia lavora per una tv locale e poi a Milano. L’occasione di attraversare la Manica arriva attraverso una multinazionale che si occupa di seminari educativi e che vanta Bill Clinton fra gli speaker. «Ho dovuto fare le valigie da un giorno all’altro».

Lo shock

La vita professionale a Londra è un corso accelerato di sopravvivenza. «Ero abituata a redazioni dove la cooperazione è la norma. Mi sono trovata nel regno della competizione. Ho tirato fuori risorse interiori che non sapevo di avere». La giornalista attribuisce la sua capacità di resistenza anche alle radici sarde. «Sono cresciuta fra persone determinate a non arrendersi, a superare le avversità». Nei momenti più cupi, la speranza riluce, come la luna nei versi dell’amato Montanaru. Fonte di ispirazione: Chessa ha vinto il terzo premio con un sonetto in sardo nell’edizione 2021 del premio intitolato al poeta di Desulo.

Assange

La svolta è il secondo arresto di Julian Assange nel 2019, prelevato dalla polizia britannica nell’ambasciata dell’Ecuador dove si era rifugiato. «Dapprincipio non tutti capivano la portata della situazione, ma il sindacato dei giornalisti, la NUJ ne ha fatto un caso di libertà di stampa». Sara Chessa si associa alla Ong Blueprint for free speech. Fa il colpo grosso intervistando per Independent Australia Ögmundur Jónasson: è l’ex ministro degli interni d’Islanda, che allontana l’FBI dal suo paese quando i servizi segreti lo informano che il Bureau cerca di incastrare Julian Assange per i Diari di guerra in Afghanistan. «Era stato un giornalista, e ha scelto di difendere il giornalismo libero».

Chessa porta in Italia la campagna di sensibilizzazione a favore del caporedattore di Wikileaks. Scrive ai parlamentari, il senatore cagliaritano Gianni Marilotti organizza un convegno alla Biblioteca del Senato dove interverrà il padre di Assange, John Shipton. «Italia e Germania rispondono bene alla mobilitazione», spiega.

La pressione arriva sino al Consiglio d’Europa: la Commissaria per i diritti umani Dunja Mijatović chiede al governo inglese di fermare l’estradizione per i rischi che il precedente comporterebbe per la libertà di stampa. La giornalista lo racconta per Independent Australia (in Italia su Micromega) e seguirà il processo che partirà in autunno: l’estremo tentativo degli avvocati di Assange di evitare la deportazione negli Usa.

Chessa fa appello alla tradizione del giornalismo di inchiesta e di denuncia: «Facciamo in modo che chi ha responsabilità di governo si accorga delle conseguenze che può avere la tendenza a ridurre il diritto alla protesta pacifica».

Daniela Pinna

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