«La Fase 2? Mi sento più sicura in Cina che in Sardegna: qui i controlli sono puntuali e la gente rispetta le regole». Alessandra Morgante, cagliaritana 34enne, risponde al telefono dall'appartamento che divide con la gatta Lillì a Xiamen, cittadina di oltre tre milioni e mezzo di abitanti affacciata sul mare della provincia di Fujian. Dal 2018 insegna inglese all'Università locale e il prossimo luglio (Covid permettendo) tornerà in Inghilterra - dove ha trascorso dieci anni della sua vita - per discutere la tesi di dottorato a Cardiff. «Il lockdown per me è iniziato il 16 febbraio, al rientro da un viaggio in Thailandia».

Ingresso libero?

«Ancora non erano stati sospesi i collegamenti aerei e la quarantena non era prevista, ma si entrava solo con il visto di lavoro. Il mio fidanzato che aveva quello business è stato rimandato a casa».

Procedure anti-contagio allo sbarco?

«Ci hanno fatto scaricare una app per monitorare gli spostamenti, misurato la temperatura e fatto compilare un modulo con nome, cognome, indirizzo e numeri di passaporto e telefono».

Anche in Cina è iniziata la Fase 2. Come funziona?

«Non è come in Italia. Qui hanno atteso per più di un mese che i contagi fossero a zero, da due settimane tutte le attività sono state riaperte ma per entrare ovunque, anche nel proprio condominio, bisogna farsi misurare la febbre dagli agenti del governo e compilare il solito modulo».

A che serve?

«Chi ha 37,2 di temperatura viene portato in ospedale per i test, mentre i fogli compilati tornano utili per rintracciare tutte le persone a rischio nel caso si verifichi un contagio».

Ha fatto il tampone?

«No, ma sono appena stata contattata dall'Università: staff e studenti, tutti, saranno sottoposti a test e se gli esiti saranno negativi a fine maggio la facoltà riaprirà. Per adesso lavoriamo online».

Mascherina obbligatoria?

«Sempre e ci tengo a dirlo: non è una una questione culturale ma un modo per evitare il contagio. Per renderle più efficaci le impermeabilizziamo con uno spray creato apposta per il coronavirus».

In Italia le mascherine erano introvabili.

«Anche qui, per questo il governo ha stabilito che fossero distribuite gratuitamente nei condomini, se ne occupa l'amministratore: trenta al mese per ciascuno».

Come si fa a usarla al ristorante?

«Si può abbassare solo per mangiare ma appena finito bisogna rimetterla. Per il resto non ci sono problemi. Nessuna regola sulle distanze ma gli ingressi sono contingentati e bisogna sempre usare l'igienizzante».

Guanti?

«No, solo sulla metro ma ci si lava di continuo le mani».

Qual è stato il momento peggiore?

«Forse è proprio questo. La Cina è riuscita a contenere il virus ma i nuovi contagi sono arrivati dall'estero e molti, soprattutto gli anziani, danno la colpa agli stranieri».

Qualche discriminazione?

«Due volte. La prima in metropolitana: mi sono seduta e cinque persone che stavano intorno a me si sono alzate e hanno preso posto altrove».

La seconda?

«Quando ho portato la mia gatta nella sede governativa per i controlli necessari all'espatrio, in quanto italiana, ho dovuto aspettare fuori. Per fortuna c'era una mia amica cinese che si è occupata di tutto. Mentre a un mio amico italiano è stato rifiutato un massaggio ai piedi».

Ce l'hanno con gli italiani?

«No, però le immagini delle nostre città con tante persone per strada durante il lockdown agli occhi di vive qui sono choccanti. In Cina se il governo dice che non si esce, tutti restano a casa. Punto. Facendo così il periodo peggiore, durato tre mesi, è passato».

Fase 2 a Cagliari: tutti a correre e poche mascherine per strada.

«Mi sembra davvero troppo presto. Qui alla corsa non ci pensava nessuno, uscire era impensabile, persino fare la spesa: la lasciavano direttamente davanti al portone».

Ma ora parchi e spiagge sono aperti?

«Sì, all'ingresso si segue la solita procedura e può entrare un numero limitato di persone. Dopo un turno escono e lasciano il posto agli altri».

Xiamen è città di mare. Il turismo dà segni di vita?

«Per favorire la ripresa del settore, il governo ha reso gratuito tutto quel che è pubblico: trasporti, musei e qualunque altra cosa sia erogata dallo Stato. Perché anche da queste parti la crisi è stata pesante».

Aiuti per i poveri da Covid?

«Una carta a ogni famiglia per fare la spesa. E poi qui è molto forte il senso di comunità: anche se non sei della famiglia ne fai parte. Nei condomini si fanno raccolte per chi non ha soldi per mangiare».

Era in contatto con l'ambasciata?

«No, non mi ha mai cercato nessuno. Mentre fin dai primi giorni sono stata contattata da un'associazione che lavora per l'integrazione tra cinesi e cittadini stranieri. Mi hanno chiesto se avessi bisogno di qualcosa e mi hanno fatto sentire a casa».

Era preoccupata per la sua famiglia a Cagliari?

«Moltissimo. Paradossalmente ero più protetta io qui di quanto non lo fossero loro. Quel che mi spaventa è il modo di ragionare degli europei che vedono nella quarantena una limitazione della libertà personale».

Non è così?

«A me, benché fossi sola a casa con la gatta, non è mancata la libertà: ero io la prima a non voler uscire perché avevo paura del contagio».

Allora cosa le è mancato di più?

«La serenità».

Quando tornerà in Sardegna?

«Non ho ancora deciso. Per adesso resto qui dove mi sento più al sicuro».

Mariella Careddu

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