“Servizi unici e professionalità”: il segreto del cagliaritano, futuro resort manager di una struttura da sogno
Per Giacomo Puntel un nuovo traguardo professionale che lo porta al vertice dell’Anantara World Islands
Due anni fa ha ricevuto il premio internazionale come direttore dell’anno nel campo degli hotel per il Medio Oriente, ora Giacomo Puntel, cagliaritano di 44 anni, ha raggiunto un altro ambito traguardo: sarà il resort manager dell’Anantara World Islands, una struttura da sogno situata su un’isola a 4 chilometri dalla costa di Dubai.
La proprietà ha deciso di puntare ancora su di lui per lanciare nel mondo l’esclusività di un turismo da mille e una notte. Alle spalle esperienze internazionali come quella nel ristorante di Gordon Ramsey – il noto chef e personaggio televisivo – a Londra, ma quando ha iniziato “facevo il lavapiatti, pelavo patate e non parlavo una parola di inglese”.
In cosa consiste questo nuovo incarico?
“Sarò il primo direttore del resort, responsabile dalla A alla Z per quanto riguarda il marketing, la soddisfazione dei clienti, il settore food and beverage, quello dello staff e dei dipendenti. Quindi tutto il campo dell’accoglienza per essere sicuri che chi viene da noi abbia un soggiorno al top”.
Sarà a capo di quante persone?
“161, e ci sono anche due italiane: una ragazza che attualmente lavora a Capri e che sarà restaurant manager, e un’altra che sarà duty manager, il settore che si concentra sul ricevimento e l’assistenza ai clienti”.
Chi sono i suoi datori di lavoro?
“L’isola su cui si trova la struttura è di Seven Tides, noi di Anantara siamo gli hotel operator, abbiamo firmato un accordo che dura 15 anni per la gestione del resort. Anantara a sua volta fa capo a Minor, che ha hotel in tutto il mondo”.
Riprendere dopo la pandemia è difficile anche per i colossi del vostro comparto?
“C’è stata molta pubblicità negativa perché qualcuno sostiene che le isole stiano scomparendo. La proprietà invece è riuscita a dimostrare il contrario e a costruire quello che definisco un paradiso. I lavori sono durati quasi quattro anni e hanno fatto i conti con tutti problemi logistici: sappiamo bene che trasportare materiali dalla terraferma a un’isola non è cosa semplice”.
Cosa proponete?
“Siamo il primo albergo che apre sull’arcipelago: 70 ville con piscina sulla spiaggia, con accesso privato. Una terrazza dove poter mangiare e rilassarsi, una Spa con 7 cabine, una palestra e un’area bambini perché ci rivolgiamo anche alle famiglie. Dalla costa di Dubai portiamo i nostri clienti sull’isola con motoscafi da 25 posti”.
Si mangia cibo italiano?
“Anche. Ci sono due ristoranti, uno mediterraneo con menu principalmente a base di pesce, e uno indiano-arabo”.
Mediterraneo quindi anche qualcosa di sardo o no?
“Certamente, per esempio la bottarga, che acquistiamo dagli importatori che sono qui a Dubai. E i vini: cannonau e vermentino”.
Ci anticipa alcuni dei servizi esclusivi?
“L’opportunità per le coppie di cenare all’interno di bolle trasparenti, che hanno una temperatura controllata tutto l’anno. Ti siedi, mangi, ammiri il panorama. È una cosa unica nel Medio Oriente, siamo i primi a offrirla”.
C’è altro?
“La colazione o il tè serviti su una piattaforma in mezzo al mare, ad esempio”.
Ci sarà anche particolare attenzione all’ambiente?
“Sì, non avremo acqua nelle bottiglie, abbiamo acquistato dall’Inghilterra un impianto di desalinizzazione così da evitare la plastica e cercheremo di riutilizzare gli avanzi come compost per le piante o per nutrire i pesci”.
Un sogno a costi stellari?
“Chi cerca un certo tipo di turismo sa che non è economico. I prezzi sono accessibili ma sicuramente non bassi. I clienti sanno che invece di andare alle Maldive possono venire qui, trascorrono al massimo una settimana, di più è difficile perché stare su un’isola non è facile, per cifre intorno ai 1.200-1.300 dollari a notte”.
Questa promozione è per lei un nuovo salto di carriera, cosa si aspetta in futuro?
“Intanto fare di tutto affinché l’attività del resort sia un successo e per essere riconosciuti nel 2022 come una delle migliori destinazioni nel Medio Oriente e, perché no, anche nel mondo. Per me personalmente arrivare magari a dirigere non solo una struttura ma un cluster, un insieme di imprese”.
Com’è la vita ora a Dubai? Un anno fa si parlava di ripresa del turismo.
“Oggi, con l’inizio dell’Expo, siamo tornati ai livelli del 2019 almeno per le proprietà con accesso al mare. Le strutture sono quasi piene, su tassi di occupazione del 90-95 per cento. I casi di Covid sono scesi sotto i 100 al giorno e le restrizioni sono minime: mascherina e distanziamento. I ristoranti sono aperti, le discoteche e i bar anche. Una vita quasi normale”.
Ci sono anche lì i no vax?
“No, assolutamente. Dato che i vaccini vengono forniti dal governo hanno aderito praticamente tutti alla campagna. E comunque chi viene qui per lavorare deve avere fatto prima e seconda dose prima del contratto”.
Sono arrivati turisti italiani?
“Qualcuno sì, insieme a svizzeri, tedeschi, e agli inglesi che adesso tornano a viaggiare come prima. La gran parte della clientela quest’anno è stata russa, prima era invece europea”.
Ci sono molte strutture che hanno subìto un tracollo tale da determinarne la chiusura?
“Quelle che avevano sospeso le attività ora stanno riaprendo. Dubai resta una destinazione che in tanti vogliono visitare, e ci sono molti hotel che apriranno entro la fine dell’anno e nel 2022. La ripresa continua, cresce il tasso di occupazione delle camere. La sensazione è un po’ quella per cui il Covid è sì presente, ma è al tempo stesso un brutto ricordo”.
Lei è riuscito a tornare in Sardegna?
“Sì, due settimane a settembre per rivedere la mia famiglia”.
E la voglia di tornare a viverci c’è ancora?
“Non mi ha mai abbandonato. Chissà, se un giorno ci fosse una giusta posizione, una giusta opportunità lavorativa, potrei valutare. Mi manca la mia terra ma ci sono tante cose che non funzionano”.
Cosa dovrebbero imparare gli imprenditori del turismo in Sardegna da quelli negli Emirati?
“Parto col dire che, come molti sanno, la manodopera nel Medio Oriente ha costi più bassi e quindi le strutture si possono permettere più dipendenti. In Italia in genere si lavora molto con lavoratori stagionali. Ma penso che il segreto del successo sia proprio avere personale con esperienza anche internazionale, che parla due o tre lingue. In quel modo si potrebbe attrarre molto più turismo, mentre ora manca un obiettivo, quello di rendersi unici nell’ospitalità. Direttore si può diventare, ma un direttore deve cercare di offrire qualcosa che altrove non si può trovare. Chiaro che sopportare certi investimenti non è da tutti ma in questo serve il sostegno. Abbiamo proprietà fantastiche in Sardegna, bisognerebbe cercare di aprire un po’ la mentalità e tentare almeno di essere sempre all’avanguardia”.