Seconda stella a destra, questo è il cammino. Oliver Piras, 36 anni, di Selargius, insieme alla sua compagna Alessandra Del Favero, 33, centra per seconda volta una Stella Michelin, massimo riconoscimento nella ristorazione. Piras ottiene il premio questa volta nel tempio della Guida, il centro elegante di Parigi, guidando con Alessandra la cucina del ristorante Carpaccio, all’interno del Royal Monceau Raffles hotel, in Faubourg Saint Honore, hotel 5 stelle dove il lusso è in ogni angolo. Grande colpo, per questo selargino dai modi affabili e che – nonostante il successo e un telefono che non smette di squillare – sembra stupito per questo colpo nel cuore della Francia.

Un successo da condividere con la famiglia Cerea, di cui Oliver è figlio d’arte, perché cresciuto proprio nella loro cucina, al “Da Vittorio”, uno dei migliori ristoranti del mondo, alle porte di Bergamo. Bruno Cerea, che guida l’azienda, a settembre 2021 ha inviato a Parigi proprio Piras e la compagna per risollevare le sorti del Carpaccio, una consulenza che ha dato i suoi frutti.

Chef Piras, cosa si prova a essere uno stellato nel cuore di Parigi?

«Sono felice, siamo felici, fino a un’ora prima della cerimonia, martedì, non sapevo come mai mi avessero chiesto di essere presente a Cognac, che dista da Parigi quasi quattro ore».

Riavvolgiamo il nastro della sua vita. Fino alla prima stella.

«Sono nato a Selargius, da giovanissimo ho frequentato la cucina di Roberto Petza, poi quella del Flamingo, a 18 anni parto per la Francia. Prima a Strasburgo, poi in Belgio e a Bruxelles uno chef italiano riesce a trovarmi un posto da Joel Robuchon a Parigi. Dopo due anni, arrivo a Bergamo dai tristellati Cerea. Qui passano cinque anni meravigliosi, in cucina conosco la mia compagna Alessandra e con lei proviamo l’avventura a San Vito di Cadore, dove apriamo l’Aga nell’hotel della famiglia di Alessandra. E lì arriva la prima Stella, nel 2016».

La pandemia vi “costringe” a modificare i vostri piani.

«Sì, perché eravamo pronti a trasferirci a New York, armi e bagagli, portando la nostra cucina nel cuore della città. Ma il primo lockdown ci ha fermato. E allora, dopo un paio di mesi di riflessione, sapendo che la famiglia Cerea voleva rientrare a Parigi, a settembre 2021 siamo arrivati qui, al Carpaccio».

Lusso, eleganza, materie prime di altissimo livello. E la clientela parigina apprezza.

«Nel 2018 il Carpaccio aveva perduto la Stella. Sì, questa è una clientela esigente, difficile, che viaggia e che vuole, in un ristorante italiano, piatti che riconducano all’Italia e ai sapori veri, niente fronzoli o sofisticazioni».

Beh, l’imprinting dei Cerea non può essere smentito.

«No di certo, per questo abbiamo portato a Parigi alcuni piatti storici dello chef Chicco, come il pacchero e l’orecchia di elefante, mentre nel menu degustazione proponiamo piatti più innovativi, con la nostra firma, insomma».

In montagna prediligevate la carne. Oggi, al Carpaccio, qual è la linea del vostro menu?

«Abbiamo decisamente virato verso il mare. Sentivamo l’esigenza di pesce, qui con la Bretagna è possibile fare grandi cose».

Due chef, marito e moglie, qualcuno dovrà pur comandare lì dentro.

«lo e Alessandra ci siamo conosciuti in cucina dieci anni fa, sappiamo come funziona, c’è grande accordo, discutiamo in privato sul da farsi ma sul lavoro tutto fila liscio».

Vita da chef in Francia.

«Qui il nostro mestiere si vive meglio. Due giorni alla settimana riusciamo a staccare, c’è una pausa pomeridiana, stiamo benissimo».

La Sardegna.

«Nostalgia, certo. Ci vengo pochissimo, anche per colpa del covid. Nella mia cucina bottarga e fregola non mancano mai. Spero di tornare presto per un po’ di vacanza».

Come avete festeggiato per la Stella parigina?

«Festeggiato? Ieri il ristorante era pieno!».

Enrico Pilia

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