«Mi chiamo Luca Atzori, sono nato in Inghilterra l’11 novembre 2010.

Dal mio cognome capirete che io ho origini sarde perché mio padre è nato a Sant’Antioco, si chiama Antonello, ma qui a Birmingham non riescono a pronunciarlo, e quindi per tutti è “Tony”.  Mia mamma invece si chiama Zoe, è inglese, fa l’insegnante e si occupa di bambini con problemi dello spettro autistico e disabilità. Sono due genitori speciali, che mi hanno dato anche due sorelle: Ella, più grande di me, ha 15 anni. E poi c’è Francesca, 8.

Mamma e papà si sono conosciuti nel 2005, e tre anni dopo si sono sposati proprio a Sant’Antioco.

Nel novembre del 2010 sono arrivato io, la gravidanza è stata regolare, era tutto in ordine, come dicevano i medici. Un bimbo sano, forte.

L’estate successiva siamo andati in vacanza in Sardegna. La zia di mio padre mi ha preso in braccio, ero un po’ cicciotto a dire il vero, e ha detto “Che strano, c’è qualcosa che non va. Luca non reagisce bene agli stimoli”. E di bambini ne sapeva, perché aveva avuto diversi figli. I miei genitori non hanno dato molto peso a queste parole però, tornati a casa, hanno iniziato a pensare di sottopormi a qualche visita.

Avevo solo un anno quando un giorno mi sono sentito male. Non so bene che tipo di malore fosse, ma quelli dell’ambulanza dicevano a mia madre che poteva trattarsi di un attacco epilettico. Mio padre è arrivato in quel momento. Io non capivo, vedevo nei loro occhi la preoccupazione, però i medici li hanno rassicurati. In seguito ci sono stati altri episodi: avanti e indietro dall’ospedale per diversi mesi. Tanti tanti esami per capire cos’avessi.

Fino a quando una dottoressa ha disposto una particolare procedura: una biopsia, mi hanno prelevato una parte di muscolo da una gamba. È stato allora che ha avuto la certezza: soffrivo della sindrome di Tay Sachs. È una malattia genetica, rarissima ed ereditaria, che colpisce i nervi e impedisce ogni sviluppo. Ne è portatore mio padre e – caso più unico che raro – anche mia madre, ma tutto questo lo hanno scoperto solo dopo i test. In quel momento in Inghilterra esistevano solo due casi: io e un altro bambino.

Ecco perché non parlavo, non gattonavo, col tempo avevo perso anche la vista.

La diagnosi ha sconvolto tutta la famiglia. Ho sentito dire che i bambini con la mia malattia solitamente non nascono, un aborto ferma il loro cuore, oppure muoiono a pochi mesi. Per questo è rara, i casi in vita sono pochissimi.

Col trascorrere delle settimane sono peggiorato sempre più. Un istituto, l’Acorns Children's Hospice, ci ha aiutato tanto. Hanno messo a nostra disposizione una cameretta, si occupavano di me i tanti operatori specializzati. Mi coccolavano, mi facevano il bagno, mi portavano anche nelle piscinette. Mangiare per me era diventato un problema, dovevano nutrirmi con un tubicino. I miei genitori potevano stare tutto il tempo che volevano, mamma mi leggeva tante favole, e la sera se stavo bene mi riportavano a casa.

Mamma Zoe con il piccolo Luca (foto concessa)
Mamma Zoe con il piccolo Luca (foto concessa)
Mamma Zoe con il piccolo Luca (foto concessa)

Li ho visti piangere, qualche volta lo fanno ancora adesso. Anche se cercano di andare avanti, tanto indietro non si può tornare. Mio padre ha avuto poi una bellissima idea, dedicata a me: dato che durante il lockdown non poteva lavorare né come manutentore e designer di giardini e nemmeno come manager nei ristoranti, si è trasformato in pizzaiolo, come quando era in Sardegna. Preparava le pizze a casa e poi le vendeva ai vicini. Ed evidentemente è bravo perché è arrivato ad avere un locale suo, si chiama “Your Flamingo”. All’interno lo ha arredato con tanti riferimenti alla Sardegna, c’è persino una maglia di Gianfranco Zola.

Flamingo in inglese significa fenicottero, così mi chiamavano. Perché la mia malattia pare che l’abbiano anche i fenicotteri. In quella pizzeria oggi una parte del guadagno viene destinata all’Acorns Children’s Hospice, quello che mi ha curato con tanta dedizione.

Antonello Atzori  con la maglia di Zola (foto concessa)
Antonello Atzori  con la maglia di Zola (foto concessa)
Antonello Atzori con la maglia di Zola (foto concessa)

Sapete cosa fa mio padre? Lo ha scritto anche nel menu: per ogni pizza venduta dona 22 centesimi. E non è un numero a caso: io sono nato l’11/11 e sono morto il 2/2. Avrei voluto giocare, imparare a camminare, andare al nido, all’asilo, e poi a scuola, al parco con gli amichetti. Invece quel 2 febbraio 2013 ero in braccio a mio padre quando l’ho salutato per sempre. Alle mie sorelline raccontano che sono diventato una stella. Mi vengono a trovare al cimitero, mi portano un fiore, a casa ci sono i miei giochi e le mie foto. Parlano di me, e vorrei che ora lo facessero con un sorriso perché la loro generosità può aiutare altri bambini.

La solidarietà, fare del bene agli altri sono valori che i miei genitori insegnano adesso alle mie sorelle. Io li guardo da quassù».

La famiglia Atzori il giorno dell'inaugurazione di "Your Flamingo" (foto concessa)
La famiglia Atzori il giorno dell'inaugurazione di "Your Flamingo" (foto concessa)
La famiglia Atzori il giorno dell'inaugurazione di "Your Flamingo" (foto concessa)
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