«Non potrò dimenticare quella notte, con gli elicotteri che volteggiavano sopra l’ospedale dove lavoravo. Sparavano all’impazzata, i rumori erano intensi, c’erano forti esplosioni. Eravamo asserragliati in un bunker ricavato nella struttura ospedaliera. Il mio primo pensiero è andato a un bimbo di un anno, aveva una scheggia in testa. Comunque, rifarei tutto». La voglia di aiutare il prossimo è inscalfibile, nonostante la paura. Gianna Falchetto, infermiera 33enne di Orotelli, racconta il suo Afghanistan. Quella terra martoriata, di nuovo in mano ai talebani, dove ha trascorso l’ultimo anno della sua vita tra i volontari di “Medici senza frontiere”.

Mesi da incubo

Da una parte la caduta di Kabul, con la fuga all’estero del presidente afghano Ashraf Ghani e il ritorno dei talebani. Il terrore diffuso dai miliziani islamisti, però, è andato oltre la capitale, ha abbracciato il Paese. «Dopo un periodo di relativa e apparente calma, lo scorso maggio la situazione è peggiorata - racconta Gianna Falchetto, direttore infermieristico nel Boost Hospital di Lashkar Gah, fin dal suo arrivo nell’agosto 2020 - I combattimenti si sono nuovamente intensificati e avvicinati alla città, nel sud dell’Afghanistan. I rumori delle esplosioni diventavano sempre più forti, gli elicotteri sopra le nostre teste erano sempre più frequenti. Nel nostro ospedale, in origine, non si trattavano traumi da guerra. Negli ultimi mesi la situazione è cambiata e anche noi abbiamo iniziato a ricevere sempre più feriti da pallottole, schegge e ordigni».

Unica salvezza

Il bunker ricavato sotto il Boost Hospital di Lashkar Gah diventa l’unica soluzione possibile. «I combattimenti sono peggiorati velocemente, è stata una escalation di violenza - prosegue Falchetto nel suo racconto - Siamo stati costretti a dormire nel bunker per rimanere vicini ai pazienti e a chi avesse continuato ad aver bisogno di noi. Intorno c’era una città deserta, il clima era surreale. Abbiamo trascorso 12 giorni in quel luogo “sicuro”. Avevamo dei materassi sul pavimento e delle coperte per riposare quando possibile. Questa sistemazione ci ha permesso di continuare a lavorare per garantire continuità alle cure».

Dalle Asl al volontariato

Si sente spesso la parola “Sardità”, nel racconto di una donna che nel 2016 ha lasciato l’ospedale San Martino di Oristano e stracciato il contratto con l’azienda sanitaria locale. Troppo forte la voglia di viaggiare e aiutare il prossimo, di coltivare un sogno. «L’isolana testardaggine ha giocato un ruolo importante, così ho sposato la causa delle organizzazioni umanitarie - confessa Gianna Falchetto - L’approdo a Medici senza frontiere è avvenuto nel 2019».

La lezione della guerra

I ricordi sono tanti e Gianna Falchetto prova a ripercorrerli. «Non sono affatto pentita della mia scelta di vita, neppure dopo gli ultimi scontri». Poi, con lucidità afferma: «Intanto, chi come me va in luoghi dove c’è la guerra mette in conto che queste situazioni possano accadere. Faccio questo lavoro anche per questo. Il fatto di essere sarda, comunque, mi ha aiutato tanto: siamo forti, forse abbiamo una marcia in più». Adesso, la paura è alle spalle. «Ritornerei in Afghanistan, non avrei problemi a starci un altro anno».

Gianfranco Locci

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