Arrivare in Olanda e non parlare una parola della lingua locale, esprimersi con i gesti «con le mani e con i piedi». È cominciata così, ad Arnhem, la vita di Mario Agus, originario di Gadoni, 70 anni, che il 19 maggio ha festeggiato 50 anni esatti di emigrazione nei Paesi Bassi.

Prima di questa esperienza era stato a lavorare a Torino, alla Lancia di Chivasso, «quindi lasciare la Sardegna per l’Olanda non è stato uno choc, avevo già fatto la valigia, salutato famiglia e amici, vivevo lontano, anche se non c’era la possibilità di sentirsi spesso al telefono».

Oggi Agus è consultore per i tre circoli sardi in Olanda, dato che la federazione non esiste più, e questo perché sono sempre di più le associazioni che chiudono i battenti: c’è meno presenza di giovani e contemporaneamente diminuiscono i contributi da parte della Regione.

Ad Arnhem «facevo anche tre turni di lavoro, intanto andavo a scuola per imparare l’olandese, e pian piano mi sono integrato». La moglie l’ha conosciuta in una discoteca e, mentre i mesi passavano, Agus ha cominciato a incontrare altri sardi, «c’era già molta voglia di riunirsi, di creare un’associazione». Le prime feste per racimolare delle risorse economiche – «eravamo circa 350 emigrati» -, fare richiesta alla Regione Sardegna per riuscire ad avere, in un modo o nell’altro un contributo (all’epoca non c’era ancora la legge dedicata all’emigrazione), e nel 1985 riescono a ottenere 5 milioni di lire. «Io ero segretario del circolo “Amici Mediterranei”, poi sono diventato presidente, sempre negli anni Ottanta, e lo sono ancora». Un periodo lunghissimo alla guida dell’associazione, senza alcun ricambio: «Perché è un impegno molto grande e non tutti vogliono questo incarico che implica responsabilità giuridiche e finanziarie. Richiede tanto tempo, ma devo dire che è un ruolo che mi ha permesso di migliorare anche la mia vita lavorativa. Attraverso l’associazionismo sardo ho conosciuto molte persone, sono riuscito ad avere un impiego comunale. Ora sono in pensione, prima mi occupavo del coordinamento di 15 volontari, organizzavo anche corsi di lingua, e intanto portavo avanti tante iniziative per il circolo».

Nei primi anni di emigrazione gli italiani non erano ben visti, «anzi proprio discriminati, ma i sardi sono stati i migliori a integrarsi, e gli olandesi ci hanno sempre voluto bene».

Chi lascia oggi l’Isola ha un profilo personale molto diverso rispetto a quelli che partivano negli anni Sessanta e Settanta.

«Intanto non hanno più la valigia di cartone, e dentro quella nuova hanno un computer, titoli di studio. Questo però non basta: a volte ci telefonano per chiedere aiuto, spesso riusciamo a trovare loro un posto di lavoro. È chiaro che, avendo una laurea, aspirano a occupazioni di un certo livello ma almeno per il primo periodo è più facile che vengano presi nei ristoranti e nelle pizzerie anche come lavapiatti. Succede, e penso che ci si possa accontentare inizialmente per poi proseguire, integrarsi e inseguire i propri sogni».

Altre differenze tra gli emigrati di ieri e quelli di oggi? 

«Prima avevamo una necessità quasi fisica di incontrarci, ci mancavano la Sardegna e la famiglia, volevamo parlare in limba, condividere ricordi, racconti, tradizioni. Oggi il giovane viene meno al circolo, anche se partecipa alle attività culturali e sociali. La nostra sede si è adeguata, non apriamo tutti i giorni come prima ma tre volte a settimana oppure su appuntamento. Siamo impegnati in vari settori».

Quali?

«Siamo una sorta di centro di servizi, ci sono tanti anziani che magari vanno in pensione e devono sbrigare delle pratiche, oppure i loro figli e nipoti che sono alle prese con questioni di successioni ereditarie relative a immobili in Italia. E molti si trovano in difficoltà, non conoscono le leggi italiane, e noi li aiutiamo. Da luogo di ritrovo per incontrare corregionali, bere un caffè o una birra insieme e giocare a carte, ora il circolo svolge un lavoro molto più importante dal punto di vista della società».

Cosa vede nel futuro di queste associazioni?

«Le immagino sempre più proiettate verso il sostegno ai più deboli. E anche per questo motivo siamo impegnati a cercare di coinvolgere le nuove generazioni, per avere una continuità. Gli anziani pian piano vengono a mancare, dobbiamo trovare chi prenderà il nostro posto. Ovviamente capisco bene i ragazzi che preferiscono andare a ballare piuttosto che venire al circolo, figuriamoci, anche io alla loro età lo facevo, mi sembra normale».

Fra i risultati ottenuti c’è la possibilità, oggi, di trovare in vendita prodotti dell’enogastronomia sarda.

«Quando sono arrivato io in Olanda non c’era nessun prodotto alimentare della mia terra, ora si trovano ovunque. Questo significa che vengono importati, che dietro questo mercato ci sono famiglie, in Sardegna, che vivono anche grazie al commercio con l’estero».

Con i finanziamenti dalla Regione riuscite ad andare avanti?

«Prima per le iniziative dei circoli sardi nel mondo potevamo contare su un budget di 4 milioni di euro, oggi la metà, e la differenza si fa sentire. E poi: tutto è aumentato, dall’affitto alle bollette. La Regione non rimborsa le spese al 100 per cento, questo significa che la differenza la dobbiamo mettere noi, e non è sempre facile ottenere dei veri e propri guadagni dalle manifestazioni».

In Italia invece?

«È tutto diverso: non ho nulla contro i circoli italiani, però sono più di 70, di recente ne hanno riconosciuto un altro, è chiaro che più crescono più diminuirà la quota a disposizione di altre realtà come quelle che si trovano all’estero. E in Olanda siamo in ulteriore difficoltà dato che non c’è nemmeno più la federazione».

E i soci del suo circolo?

“Circa 200, più gli amici che portano. Tanti ex emigrati sono tornati in Sardegna, la cifra è diminuita di molto».

Quanti sono i sardi in Olanda?

«Senza presunzione di precisione direi circa 16mila. Però bisogna trovare il modo di coinvolgere più giovani affinché prendano il nostro posto e continuino questo progetto. La mia generazione non potrà andare avanti per sempre».

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