Quanto dolore provano i bambini? I falsi miti e la scala per classificarlo
Come per curare la febbre si usa il termometro, così per curare il dolore si usano “scale” adeguate a meglio comprenderlo. Con cui sarebbe bene i piccoli familiarizzasseroPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Pare che anche padre Turoldo, in circostanze difficili e particolarmente dolorose, si sia chiesto dove fosse Dio. Noi ce lo chiediamo quotidianamente quando accendiamo la tv o leggiamo i giornali, di fronte a drammatiche scene di guerra con morti innocenti. Proviamo orrore osservando bambini scheletriti che afferrano a fatica una ciotola di cibo o che scappano spaventati dopo lo scoppio di una bomba. Fino a quando queste torture? Quali saranno i postumi tra le menti dei bambini sopravvissuti? Riusciranno ad elaborare tanto dolore?
Purtroppo, nonostante l’evoluzione socio-tecnologica e scientifica, il tema “dolore del bambino” non sempre viene preso in carico e trattato adeguatamente, anche alle nostre latitudini. Ultimamente il problema viene affrontato con maggiore consapevolezza e studiato nelle varie fasce d’età.
Falsi miti tuttavia ci perseguitano. I bambini più piccoli non sentono dolore: in realtà la percezione del dolore è già presente a partire dalla 24esima settimana di gestazione e può determinare difficoltà di adattamento postnatale. I neonati o i lattanti sottoposti a ricorrenti stimoli dolorosi senza gli adeguati accorgimenti possono poi sviluppare instabilità emotiva, difficili rapporti interpersonali, scarsa tolleranza al dolore, anche di minima intensità. Evidenze scientifiche hanno dimostrato che la memoria del dolore si immagazzina nel SNC (Sistema Nervoso Centrale) dei piccoli e ne condiziona le successive reazioni.
Altro mito da sfatare: i bambini sono in grado di tollerare meglio il dolore degli adulti. In realtà il loro SNC non è in grado di modulare lo stimolo doloroso per cui possono insorgere danni a lungo termine causati dall’assuefazione ad esso.
I bambini più piccoli esperiscono maggiori livelli di dolore rispetto ai più grandi. La tolleranza aumenta con l’età. I bambini si abituano al dolore e alle procedure: altra falsità. Nei lattanti il dolore chirurgico non trattato comporta aumentate complicanze cliniche, prolungata ospedalizzazione e maggior rischio di mortalità. Nei bambini più grandi amplifica la sensibilità del dolore, influenza il comportamento alimentare, altera il rapporto con i genitori.
Come capita a tutti di osservare, i bambini vivono con una intensità diversa, rispetto agli adulti, i loro momenti di gioia; ciò vale anche per il dolore. A parità di stimolo soffrono di più e il dolore che provano può avere conseguenze negative a breve e a lungo termine, per cui va sempre valutato e trattato. Come per curare la febbre si usa il termometro, così per curare il dolore si usano “scale” adeguate a meglio comprenderlo. Per i bambini dai tre agli otto anni la scala di Wong Baker è rappresentata dalle faccine più o meno sorridenti, mentre per quelli di età superiore si usa una scala numerica da uno - nessun dolore - a dieci - il più grande dolore possibile.
Quando i bambini sono in stato di sofferenza, percepiscono solo il loro malessere, quando invece stanno bene imparano tutto molto velocemente. Varrebbe la pena insegnare loro la comprensione delle varie scale in pieno benessere, per avere, nel caso del bisogno, una risposta più veritiera e confacente. Basterebbe farlo con tutti, sottoforma di gioco, già dalla scuola materna. L’educazione alla conoscenza, sin dalla giovane età, è un formidabile antidoto alla sofferenza dell’essere umano, non totalmente eliminabile, ma più facilmente accettabile.
Se pensiamo ora ai bambini nei teatri di guerra, non possiamo limitarci solo a quantificare il loro patimento fisico, ma dobbiamo - come si dovrebbe sempre - estenderlo a quello emotivo, affettivo, spirituale, sociale: qui è più difficile trovare “scale” adeguate di valutazione e di successivo aiuto, trattandosi di un delicato lavoro di supporto e di empatia da parte degli operatori sanitari.
Ricordiamo il bambino palestinese, Adam, che forse verrà curato in Italia a causa del suo quadro clinico molto compromesso: unico sopravvissuto tra i numerosi fratellini, ora anche orfano di padre, sentirà nel suo intimo il dolore più profondo per tutte queste assenze, oltre a quello fisico estremo. Se le cure mediche risolveranno il suo problema, dubito che il suo dramma interiore possa essere cancellato. Solo appena lenito grazie alla solidarietà e all’amore gratuito di chi lo cura e lo curerà.
Anna Maria Bottelli, Pediatra