Il Parlamento, nell’agitata convulsione delle giornate appena trascorse, ha “concesso” il via libera al Piano nazionale di ripresa e di resilienza presentato da Mario Draghi per ottenere dall’Unione Europea i 248 miliardi di euro del Recovery Fund.

LE MISSIONI DEL PIANO – Sei le missioni da perseguire così scandite: digitalizzazione e innovazione, rivoluzione verde e transizione ecologica, infrastrutture, istruzione e ricerca, lavoro e salute, la quale ultima pare sia da condursi all’insegna del rafforzamento delle misure di prevenzione sul territorio e della digitalizzazione del sistema sanitario al fine di favorire l’accesso generalizzato alle cure.

Sussiste, indubbiamente, da parte delle Istituzioni Europee, una concessione di credito che il nostro Paese non avrebbe avuto, e probabilmente non avrebbe, con altri leader, soprattutto perché il Presidente del Consiglio italiano, forte del suo trascorso mandato in BCE, sembra aver assunto su di sé la responsabilità delle misure garantendo sulla loro puntuale realizzabilità ed efficacia con la sua stessa credibilità. Nell’ipotesi italiana, in buona sostanza, e sembrerebbe al di là dei contenuti concreti, la sola “international credibility” (“garantisco io”) del Presidente del Consiglio dei Ministri “in pectore” sembra voler pretendere di assicurare il successo di un piano che nelle sue linee essenziali definitorie dovrebbe contenere, e il condizionale è ancora d’obbligo considerata la genericità e sommarietà della struttura del documento e del sunto presentato, i contorni salienti di quello che si accinge ad essere il prossimo futuro del popolo italiano.

L’ITALIA – E su quella assunzione personale di “garanzia” l’operato di Mario Draghi sarà valutato, o meglio, sulla sua (in)capacità di far seguire alle parole così ben spese ed artificiosamente articolate i tanto agognati “fatti”, siccome in quel Pnrr dovrebbe essere contenuta non solo, ed “apertis verbis”, “la misura di quello che sarà” il ruolo dell’Italia “nella comunità internazionale, la sua credibilità e reputazione come fondatore UE e protagonista del mondo occidentale”, ma anche, sembrerebbe, velatamente (questa la sensazione che se ne ritrae), la condizione legittimante della conservazione della stabilità della moneta unica europea.

Quest’ultimo aspetto è, a mio modesto avviso, l’unico che ciascuno di noi dovrebbe verosimilmente tenere in conto per comprendere i termini dell’intervento in breve descritto. Ebbene, nessuna questione si porrebbe se solo non fosse che, a ben riflettere, proprio quel Piano sembra difettare di una “visione integrata” di insieme che dall’iperuranio dei “macro sistemi” ai quali sembra risultare ancorato consenta di trascendere sul “particolare”, ovvero sulle varie articolazioni territoriali del Paese, per potersi fare apprezzare proprio su quel “quotidiano” sul quale vorrebbe farsi lecito di incidere e impattare modificandolo, e forse, irrimediabilmente. “Beato il popolo che non ha bisogno di eroi” diceva Bertolt Brecht. E non sarò certamente io a contraddirlo soprattutto se l’eroe sembra essere un semplice (si fa per dire) “prestatore di garanzia”, chiunque esso sia, e soprattutto se quell’eroe, pienamente calato nel suo ruolo esecutorio materiale, paia atteggiarsi da “Solista” chiamato “super partes” ad assolvere un compito pre-confezionato imposto dall’alto e dall’esito predefinito.

L’INTERDIPENDENZA CONCETTUALE – Sarò più chiara nel tentativo di spiegare la correlazione tra taluni concetti chiave che impongono una meditazione sulla interdipendenza concettuale tra l’esigenza di garantire la tenuta del “macro sistema”, dal quale i singoli sembrano esclusi, e quella di fondare quella garanzia, proprio sulla “resilienza” di quegli stessi singoli apparentemente esclusi, ossia su quel “micro sistema” “particolareggiato” dimenticato, sembrerebbe, dal nuovo programma di sviluppo. Ebbene, consideriamo al proposito, condensato in un quadruplice ordine di riflessioni, quanto in appresso: l’incarico recentemente conferito a Mario Draghi rappresenta l’estensione della profondità della crisi, anzi, potremmo anche dire che è direttamente proporzionale ad essa in un momento in cui la classe media italiana, e/o meglio, quel che resta di essa, non più politicamente sostenuta e/o sostenibile attraverso i meccanismi ordinari di rappresentanza, sembra trovarsi costretta ad accettare un secco e risoluto “commissariamento” terapeutico che, con buona verosimiglianza, la condurrà nel tunnel della “acquiescenza assistita” siccome inserita, sembrerebbe, in un più ampio progetto di “livellamento” sociale ove rinverranno il proprio spazio di sopravvivenza solo le categorie più resistenti (rectius “resilienti”), ossia solo ed unicamente quelle più forti organizzate “a sistema”; la fondazione di un nuovo modello di società civile ed economica idonea a favorire la diffusione di un rinnovato “modus pensandi”, di una nuova cultura attraverso cui promuovere un’analisi accurata delle cause dei disastri che la quotidianità ci pone davanti, avrebbe imposto, invece, e preliminarmente, la predisposizione di misure finalisticamente orientate all’azzeramento del progressivo processo di erosione dei diritti accentuatosi nel corso dell’ultimo anno a cagione dell’emergenza sanitaria pandemica, nonché alla predisposizione di misure dirette alla riduzione delle divergenze esistenti non solo tra Stati Membri, ma anche e soprattutto tra singoli territori all’interno del Paese in vista di un “riallineamento” interno ed internazionale necessario, in difetto del quale non arriveremo mai al cambiamento richiestoci siccome utile, per un verso, al superamento delle sfide che la nostra epoca emergenziale pandemica ci impone, e siccome il momento contingente che nostro malgrado siamo obbligati a gestire con stoico spirito di rassegnazione, per altro verso, richiede, per il suo superamento, una “visione sistemica” con l’attenzione rivolta al “particolare”, un sistema unitario di provvedimenti e di regole, interconnesso ed interdipendente, sul quale fondare, e mediante il quale avviare, il lungo processo di riforme richiestoci; quello, poi, che avrebbe dovuto essere il governo di tutti, o quasi (considerata la posizione di Giorgia Meloni), si è rivelato il governo di nessuno, o meglio, il “Governo del Premier - Esecutor” nella assenza, parrebbe, di qualsivoglia realistico contraddittorio parlamentare che, di fatto, nei suoi contorni più eloquenti, appare dominato, e poco significativamente, dai soliti “Solitari” che nel tentativo di rinvenire una timida ragione di sopravvivenza e di giustificazione politica antepongono le ragioni del facile consenso a quelle, ben più importanti, di tenuta sociale e di garanzia di conservazione delle regole democratiche; il parlamento, e con esso il popolo degli italiani che proprio a quel parlamento aveva a suo tempo conferito la propria legittimazione, sembrano essere divenuti semplici comparse di scena all’interno di un copione già scritto in cui l’unico vero protagonista appare il “sistema”, l’“establishment” europeo ricostituito e/o da ricostituirsi all’interno del quale il brandello di Italia che resta sembra voler giustificare e legittimare la propria permanenza sul solo pilastro su cui può, allo stato, fare riferimento: la credibilità di Mario Draghi quale “deus ex machina” chiamato, ancora una volta, parrebbe, a “garantire” la permanenza di “standard minimi di competitività”.

Costi quel che costi, in termini di politica democratica, ed in termini di apparato sociale.

LA QUESTIONE SOCIALE MANCATA – E purtroppo, io credo, il prezzo da pagare sarà alto, soprattutto allorquando ci si soffermi a riflettere su una ulteriore circostanza essenziale: la grande “questione sociale mancata” che i meccanismi di globalizzazione economica avrebbero dovuto elevare a scelta vincolata per tutti a prescindere dagli orientamenti e dalle impostazioni politici/che ed ideologici/che sussistenti a livello nazionale, e che avrebbe da sempre dovuto costituire la grande promessa europea finalizzata a ricostituire la “affectio societati”, ovvero il cosiddetto “eurodemos” promesso ma mai attuato, e che da oggi in avanti potrebbe proporsi solo quale miraggio utopico di quello che avrebbe potuto essere e non è stato.

Nei prossimi mesi saremo chiamati a comprendere se il “mandato” affidato all’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri, nella sua funzione di soggetto momentaneamente alternativo ad un parlamento mutilato nelle sue funzioni (questa l’impressione che suscita considerato l’intervento della leader di FdI) siccome chiamato solo a favorire il compiersi degli eventi concordati, sarà in grado di invertire la sua tendenza visionaria “macro – sistemica” per ripartire da un meditato percorso di autonomia sociale e di sviluppo dei territori finalizzato alla elaborazione di una rinnovata organizzazione dell’economia disancorata dal predominio delle articolazioni bancarie ed adeguata al raggiungimento di obiettivi di democratizzazione e di socializzazione su più livelli, financo su quello europeo. Nel contesto, sarà altresì interessante osservare fino a quando i cosiddetti “Solitari” di un governo che dovrebbe essere di unità riusciranno a gestire la frenesia del voto e l’esigenza di protagonismo, considerato che l’azione di Mario Draghi, autoreferenziale e auto-condotta, è comunque subordinata, e di conseguenza sottoposta, alla tenuta instabile della sua articolata e diseguale maggioranza.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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