Una malattia silenziosa, che si manifesta solamente quando si incappa in una “frattura da fragilità”. L’osteoporosi è una patologia sistemica dell’apparato scheletrico, caratterizzata dal deterioramento dell’architettura del tessuto osseo e da una bassa densità minerale: fattori che comportano un aumento della fragilità ossea, generalmente legato all’invecchiamento, e aumenta notevolmente il rischio di frattura di alcune ossa per traumi di lieve entità. Le parti del corpo più soggette a frattura sono il femore, il polso, l’omero, la caviglia e le vertebre, ma tutte le ossa possono essere coinvolte dalle conseguenze di una patologia decisamente difficile da trattare per gli specialisti.

La sintomatologia

Nel corso di tutte le fasi della vita, le ossa subiscono un processo fisiologico di rimodellamento: il tessuto scheletrico viene rimosso dagli osteoclasti e dell’osso nuovo si riforma grazie agli osteoblasti. Con l’avanzare dell’età, però, l’attività dei primi è superiore rispetto a quella dei secondi, generando così una perdita di massa ossea. L’osteoporosi si configura nel momento in cui questa perdita diventa eccessiva e patologica a causa dell’attività di riassorbimento osseo.

Le tipologie

La scienza medica divide l’osteoporosi in due forme principali: la primitiva, che colpisce le donne in post menopausa e gli anziani, e la secondaria, che può riguardare soggetti di qualsiasi età, affetti da malattie croniche o in terapia con farmaci che possono andare a impattare sulla salute scheletrica. L’osteoporosi porta inoltre con sé numerose malattie croniche: patologie endocrine (sindrome di Cushing, ipertiroidismo, deficit dell’ormone della crescita, ipogonadismo) e sistemiche autoimmuni, come le sindromi da malassorbimento, le bronchiti croniche ostruttive e le malattie neuromuscolari. Essendo una cosiddetta “malattia silente”, l’osteoporosi non presenta sintomi riconoscibili: il primo sintomo coincide infatti con la frattura da fragilità, che dà il via agli esami per la diagnosi.

Arrivare alla diagnosi

L’esame principale che consente di identificare la presenza di osteoporosi è la densitometria ossea, nota anche come MOC o DEXA: un test che permette di calcolare la densità minerale ossea. Le prime aree valutate sono il femore prossimale e la colonna lombare. I dati emersi vengono poi confrontati con quelli attesi: da questo paragone deriva un valore numerico noto come T-score (se i pazienti sono over 50) o Z-score per i soggetti più giovani. Per questi ultimi, uno Z-score uguale o inferiore a -2 SD genera la diagnosi di osteoporosi. Per gli over 50, invece, il valore densitometrico è ritenuto normale se maggiore di -1 SD, in osteopenia tra -1 SD e -2.5 SD e in osteoporosi per valori inferiori a -2.5 SD. Più questo punteggio si abbassa, maggiore è il rischio di incorrere in una frattura.

Fattori di rischio

Esistono però anche altri fattori che possono influenzare questo livello di rischio di fratture da fragilità: nel caso delle osteoporosi secondarie, il paziente può incappare in una frattura anche senza diagnosi densitometrica di osteoporosi. Per questo motivo, oltre alla MOC-DEXA, anche una profonda conoscenza della storia clinica del soggetto può aiutare, così come una radiografia della colonna vertebrale per individuare la presenza di eventuali microfratture ed esami di sangue e urine per studiare il metabolismo calcio-fosforo. La MOC-DEXA si prescrive generalmente nei soggetti di qualsiasi età che presentano almeno un fattore di rischio maggiore: preesistenti fratture da fragilità; riscontro radiologico di demineralizzazione ossea; malattie croniche note per essere cause di osteoporosi secondaria. Nel caso delle donne in menopausa si hanno anche altri fattori di rischio maggiori: familiarità per frattura del femore o delle vertebre, menopausa precoce (prima dei 45 anni). Sempre per quanto riguarda le donne in menopausa, sussistono poi alcuni fattori di rischio minori, come un ridotto introito di calcio tramite la dieta e l’abuso di fumo e alcol.

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