Il mieloma multiplo è il secondo tumore del sangue in Italia dopo il linfoma non-Hodgkin. Responsabile dell’1-2% di tutte le neoplasie e del 10- 15% dei tumori ematologici, ogni anno registra circa 5700 nuovi casi. Colpisce soprattutto gli anziani, con un’età media alla diagnosi di circa 70 anni (solo il 2% dei pazienti ha meno di 40 anni); inoltre, è leggermente più diffuso negli uomini. L’incidenza stimata è di circa 39.000 nuovi casi ogni anno in Europa.

Nella SC Ematologia e centro trapianti ARNAS G. Brotzu di Cagliari, ogni anno vengono effettuate circa 95 nuove diagnosi di mieloma multiplo. Tuttavia nonostante i numeri in crescita ad oggi non esiste una cura definitiva e la speranza per i tanti pazienti è riposta nei farmaci innovativi.

L’ultima frontiera dell’immunoterapia per il trattamento del mieloma multiplo nei pazienti per i quali non esistono altre possibilità terapeutiche, sono infatti gli anticorpi farmaco coniugati. Si tratta di farmaci guidati che arrivano direttamente alle cellule tumorali, individuano un punto debole della cellula e qui rilasciano citotossine anche 10 mila volte più potenti della chemioterapia standard. Un farmaco innnovativo quindi che riduce al minimo i danni e gli effetti della terapia tradizionale sui tessuti.

Il farmaco in questione, il belantamab agisce come un’arma intelligente ed è stato utilizzato con ottimi risultati su pazienti affetti da mieloma in cura presso l’Oncologico di Cagliari. La sperimentazione ha coinvolto 3 pazienti elegibili per il trattamento, ovvero persone che hanno già ricevuto 4 linee terapeutiche e che altrimenti sarebbero stati destinate alla palliazione.

«Nel nostro Centro – spiega Daniele Derudas, dirigente medico della SC Ematologia e Centro Trapianti Midollo Osseo (CTMO) dell’ARNAS di Cagliari – abbiamo utilizzato da due anni questa cura su 3 pazienti con Mieloma Multiplo, con ottimi risultati che ci aiutano ad una gestione migliore. Cura che ha dimostrato non solo negli studi clinici, ma nella cosiddetta ‘real life’ (vita reale), di saper tenere a bada la malattia e di aumentare la sopravvivenza in pazienti già sottoposti a molti trattamenti e per i quali non esistono ad oggi ulteriori possibilità terapeutiche».

Non a caso oltre la metà dei pazienti (58%) ha raggiunto una risposta parziale molto buona o superiore e in alcuni casi completa. La sopravvivenza globale mediana è stata di circa 14 mesi, un risultato sorprendente.

«I pazienti trattati con questo farmaco – prosegue Derudas – sono stati gestiti con grande facilità, sia per la rapida infusione che per i limitati effetti collaterali. Specie in questi pazienti, trattati da anni con diverse linee di terapie e danni derivati dai trattamenti precedenti, si è mantenuto un ottimo controllo della malattia salvaguardando la qualità di vita».

«Tecnicamente il farmaco – spiega Derudas – è un anticorpo monoclonale ‘coniugato’, composto cioè da due molecole: un anticorpo monoclonale umanizzato (belantamab) specializzato a trovare la falla: un recettore espresso sulla superficie delle plasmacellule mielomatose, chiamato BCMA, antigene di maturazione dei linfociti B. Una volta legatosi alla superficie cellulare, belantamb entra rapidamente nella plasmacellula e “sgancia” mafodotin, un chemioterapico che blocca i processi vitali della plasmacellula, provocandone la morte attraverso un meccanismo definito di ‘apoptosi’. In senso figurato, belantamab mafodotin si comporta come un ‘cavallo di Troia’. A questa azione principale se ne affiancano altre di attivazione del sistema immunitario del paziente, che potenziano l’effetto anti-mielomatoso».

Nella Struttura Complessa di Ematologia e Centro Trapianto di Midollo Osseo dell’Ospedale Oncologico di Riferimento Regionale “A. Businco” i pazienti che presentano la condizione clinica elegibile per l’utilizzo di questo farmaco, sono circa 10 l’anno.

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