Quattro donne su dieci dichiarano di aver subito maltrattamenti durante il parto.

È questa la fotografia che emerge dal primo rapporto su quella che è stata ribattezzata la "violenza ostetrica".

Un milione di madri italiane raccontano di aver partorito in condizioni traumatiche, tra insulti, violenze psicologiche e addirittura fisiche. Un disagio così forte, che negli ultimi 14 anni ha spinto il 6% delle donne a scegliere di non avere più figli (provocando la mancata nascita di circa 20mila bambini ogni anno nel nostro Paese).

LA RICERCA - Lo studio, nato su iniziativa dell'Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia (istituito e fondato da Alessandra Battisti e Elena Skoko) è stato condotto dalla Doxa con un campione di circa 5 milioni di donne italiane, di età compresa tra i 18 e i 54 anni.

Gli elementi presi in considerazione sono stati diversi, dal rapporto con gli operatori sanitari alla tipologia di trattamenti praticati, dalla comunicazione usata dallo staff medico al consenso informato, dal ruolo della partoriente nelle decisioni sul parto al rispetto della dignità personale.

L'EPISIOTOMIA - La principale esperienza negativa vissuta durante la fase del parto è l'episiotomia: un intervento chirurgico che consiste nel taglio della vagina per allargare il canale del parto e che, rispetto alle lacerazioni naturali, ha bisogno di tempi molto più lunghi per il recupero.

L'Organizzazione mondiale della Sanità l'ha di recente definita una pratica "dannosa, tranne in rari casi".

#BASTATACERE - La ricerca in generale fa parte della più ampia campagna informativa per le partorienti, #BastaTacere.

"Dai racconti che molte donne ci hanno fatto - spiega Elena Skoko, fondatrice e portavoce dell'Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia - eravamo a conoscenza del fatto che per tante di loro l'assistenza al parto era stata un'esperienza traumatica".

"Per questo motivo - prosegue - lo scorso anno abbiamo promosso la campagna #bastatacere sui social media. Per capire meglio la portata del fenomeno: hanno aderito così tante donne, in così pochi giorni, che presto la campagna è diventata virale. Un fenomeno ancora sommerso di cui però, chi l'ha vissuto, porta con sé le cicatrici tutta la vita, arrivando anche a decidere di non avere più altri figli. Ora sappiamo che il fenomeno è ancora più diffuso di quanto temessimo".

IN SARDEGNA - Per arginare il fenomeno la Regione Sardegna ha aderito, prima in Italia insieme al Friuli Venezia Giulia, al sistema di sorveglianza della mortalità materna istituito dall'Istituto Superiore di Sanità.

Tra gli obiettivi la riduzione delle morti materne, la prevenzione di quelle evitabili, la limitazione degli esiti derivanti da complicazioni di gravidanza, e l'efficacia e l'appropriatezza del sistema sanitario.

Sono così partite da Cagliari le attività di formazione e informazione rivolte agli operatori dei Punti nascita, ai ginecologi e alle ostetriche.

(Redazione Online/D)

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